lunedì 25 febbraio 2008

Dentro e fuori la 52° di Pino Boresta



Le morti possibili




267 ore 49 minuti e 5 secondi…é questo il tempo impiegato, nell’arco di 5 anni (1999/2007), da circa 250 persone che armate solo di gomma sono riuscite a cancellare pagina dopo pagina un’intera rivista di "Vogue Hommes", e più esattamente quella del Settembre 1986 con Sylvester Stallone in copertina. Sto parlando di "Another Misspent Portrait of Etienne de Silhouette 1999-2007" opera dell’artista australiano Christian Capurro presente alla 52° Biennale di Venezia con questo fantastico progetto di cancellazione di massa. A coloro che hanno partecipato a questa operazione, è stato anche chiesto di scrivere a matita sulla pagina che avevano cancellato il tempo impiegato ed il valore monetario (espresso in tariffa oraria) ricevuto per il periodo di lavoro. Questa spesa ha dato ad ogni pagina un valore simbolico che sommato a tutte le altre, ha stabilito una sorta di valore dell’intera opera.




- Quest’opera bellissima mi ha riportato come in sogno al "Robot industriale Puma" di Max Dean esposto durante la 48° Biennale (quella di Harald Szeemann del 1999). Un’opera interattiva che offriva allo spettatore l’opportunità di determinare il destino di fotografie di famiglia trovate per caso. Queste potevano essere salvate o distrutte per mezzo di un trinciadocumenti e finire su di un nastro trasportatore che poi le depositava sopra ad un mucchio di altre già tagliuzzate. Trovo in ciò un’azione di pura poesia che grida "Non si può salvare tutto". Infatti, le scelte a cui siamo chiamati nella vita quotidiana sono continue, e vanno da decisioni insignificanti a giudizi di maggior peso. A quale punto una persona a causa di un flusso di sopravvivenza emotiva si spegne ed a quale si accende? Capurro cancella atti pubblici nel tentativo di distruggere memorie collettive? Dean distrugge atti privati nel tentativo di cancellare memorie individuali? -























Risvegliandomi mi ritrovo purtroppo alla biennale dei giorni nostri felice di aver finalmente trovato qualcuno di cui parlare dopo tante cose inutili. Riacquisto fiducia, ma immediatamente nasce in me il timore che Christian potesse essere l’unico. Ho quindi dovuto farmi forza parafrasandomi colui che disse:"…ma io sto cercando ancora qualcuno più straordinario di te!…"
Se siete curiosi di sapere come andrà a finire dovete solo trovare la forza di continuare a leggermi, nel bene e nel male. E quando uno è bravo, buono, sincero ed intellettualmente onesto come me non deve mai aspettare molto perché le proprie paure scompaiano. Difatti giusto lì di fronte si trovava l’americana Christine Hill con i suoi bauli contenenti lavori e vite intere, trasportabili. Oggetti della vita di ogni giorno: abiti, libri, articoli per l'ufficio e per la casa... kit pronti all'uso. Hill sostiene che la propria vita "normale" è un’opera d’arte. Lei ha dichiarato che agli esordi si definiva "prostituta dell’arte", ma questo kit tra tutti quelli in mostra non l’ho visto, o forse si? Il resto della Biennale è morte in tutte le salse, senza trovare quello che avreste voluto sapere sulla morte, perché l’arte non produce risposte ma solo domande. Domande, continue domande alle quali qualcuno dovrà pur dare delle risposte, o perlomeno tentare. Noi artisti ce ne laviamo le mani sempre troppo facilmente con la formuletta "L’arte non risolve! ma pone solo nuovi e continui interrogativi".





Ed allora ecco a voi, in mille vesti diverse, le tante morti possibili presenti quest'anno a Venezia:
La morte contata, "15 muertos, 1200 muertos, nueve muertos, 59.000 muertos, 500.000 muertos, 700 muertos, seis muertos, 20.000 muertos, 220.000 muertos, 187 muertos, 97 muertos, 100.000 muertos….." Questi e molti altri i ritagli di giornale di Ignasi Aballì artista spagnolo che ci ricorda così le stragi e le tragedie avvenute in tutto il mondo. Numeri tristi, ben ordinati ed in fila, che raccontano quanto la nostra esistenza sia determinata da coordinate random.
La morte annunciata, o meglio pronunciata in tutte le lingue da tante persone di nazionalità diversa. Opera del cinese Yang Zhenzhong.
La morte ricamata, con gli scheletri finemente ornati ed incorniciati di Angelo Filomeno.
La morte palleggiata, opera video di Paolo Canevari dove si vede tra le rovine di Belgrado un ragazzino che si allena usando un cranio umano al posto del pallone.
La morte della madre, opera dell’artista francese Sophie Calle. Anche lei fa della sua vita privata una forma d’arte che trasforma in video, fotografia, linguaggio, installazione e cinema. Si è scelta da sola il proprio curatore per il padiglione francese nella figura del noto artista Daniel Buren, vivo.






La morte nascosta, quella apparentemente assente tra le rovine di Beirut nelle foto di Gabriele Basilico.
La morte dei morti, ritratta nei disegni come tanti santini, appesi al muro, delle vittime americane in Iraq da Emile Price.
La morte pesata, di Felix Gonzalez Torres. Artista morto ma presente alla biennale nel Padiglione USA con varie opere tra cui quella di un mucchio di caramelle sul pavimento corrispondente al peso di una persona ammalata mortalmente.
La morte fotografata, scatti quasi rubati di Jan Christiaan Braun eseguiti in un cimitero dove le lapidi sono state ornate con oggetti significativi per sigillare e confezionare così il ricordo prezioso di una persona cara. Particolarmente toccante quella con un seggiolino auto per bimbo.
La morte dipinta, quella ormai nota dei teschi di Enzo Cucchi che espone al Museo Correr.
La morte in simboli, quella presentata da Damien Hirst, a cura di Valerio Dehò alla Galleria Michela Rizzo con il titolo "New Religion" dove affronta ancora una volta il tema del rapporto "vita-morte" attraverso una serie di simboli ricorrenti quali croci, teschi, calici. Hirst è l’esponente più conosciuto della Young British Art insieme a Tracy Emin anche lei presente a Venezia (nel padiglione della Gran Bretagna) con la sua ciccia baffetta sempre all’aria, sarà vulvostrofobica?
La morte in chiesa, quella di San Gallo scelta come palcoscenico ideale per la bella istallazione di Bill Viola che inaugura personalmente leggendo lui stesso ad alta voce una poesia del poeta senegalese Birago Diop. Versi che raccontano della condizione dei morti, figure che in realtà non ci abbandonano mai. Tutti i lavori di Viola trattano in qualche modo la contrapposizione vita/morte e mai dimenticherò finchè vivo il suo stupendo e magnifico video dove accosta una giovane madre, che mette al mondo un bambino e una vecchia signora prossima alla morte.
La morte bugiarda, sotto forma di un teschio di Pinocchio riprodotto in ceramica da Bertozzi & Casoni ed esposto a Ca’ Pesaro.
La morte stecchita, come quella dei gatti di Jan Fabre nella sua personale a palazzo Benzon. Mostra ultra elegante, extra lussuosa e super confezionata come pure quella di Asi Da Samraj intitolata "Realismo trascendentale" curate rispettivamente da Giacinto di Pietrantonio e Achille Bonito Oliva che hanno destato in me un paio di lancinanti interrogativi: "Ma quanto saranno costate? Chi avrà pagato?"
La morte ovunque, visibile nell’esposizione ben allestita a Palazzo Fortuny denominata "Artempo". Questa si, che merita di essere visitata.
La morte finta, quella di Cattelan in "Who killed Cattelan?" opera/operazione, fuori biennale pubblicizzata ovunque per Venezia anche con adesivi (ed io me ne intento…) del pittore David Dalla Venezia, che ha realizzato una versione del tema del David e Golia sul modello del omonimo dipinto di Caravaggio. Il David ha le sembianze dell’autore, mentre la testa di Golia è quella del noto artista contemporaneo Maurizio Cattelan.




La morte vera, quella misteriosa del commissario del padiglione Messicano Príamo Lozada, morto il 13 giugno in un ospedale di Venezia, a causa delle ferite riportate in un incidente accaduto il 28 maggio in circostanze ancora tutte da chiarire. Aveva forse previsto tutto Bernhard Cella? che sostava all’entrata dei giardini in una tenda con su la scritta "What does the artists do after the death of the curator?". Preveggenza, fatalità od opportunismo di cattivo gusto?
La morte inscenata, quella realizzata da Marko Mäetamm per il padiglione dell’Estonia con un piacevole video se pur inquietante. Mäetamm viene definito nel bel teso del curatore Mika Hannula "l’artista più ingenuo del mondo". Un artista che sta attraversando un momento di grande difficoltà, che ha paura di fallire, che si sente smarrito e solo. Quest’opera dove inscena la strage della sua famiglia è solo la storia di un’altra bugia. Ma quale? Quella di colui che è atteso nel paradiso dei perdenti? Marko dichiara di sentirsi impotente e di non sapere cosa fare. Si sente inutile per il sistema. Si sente un assassino ma non lo è, perché lui è un artista e pure di quelli bravi, sostengo io. Con il suo operato sembra voglia dirci che non bisogna sempre prendere tutto troppo sul serio in quanto avvolte conviene celebrare un fallimento non per fallire di più o fallire meglio, ma perché umiliarsi pubblicamente può servire per seguire un progetto di speranza contro la demagogia dominante. Poiché proprio come dice Mika "C’è sempre una scelta, c’è sempre un’alternativa. C’è sempre una speranza e qualcuno a cui raccontarsi per sentirsi un po’ meno soli e smarriti".





Tra le partecipazioni nazionali particolarmente interessante quella dell’Irlanda con il progetto "1984 and Beyond". L’artista Gerard Byrne ha realizzato un film come ricostruzione ragionata di una discussione fra dodici eminenti scrittori di romanzi di fantascienza, realmente avvenuta nel 1963. Questo lavoro che conduce ad interessanti collegamenti fra diversi periodi storici, mostra anche come il passato immaginava il futuro. Probabilmente non casuale la data scelta da Byrne! che ci rimanda immediatamente al famoso libro di George Orwell"1984". Be careful Gerard!... "The big brother watching you". Altri padiglioni degni di nota oltre quello dell’Irlanda ed Estonia sono quello Spagnolo da molti anni sempre tra i migliori, con 4 artisti invitati (J. L. Guerin, M. Filarino, L. Torreznos e R. R. Balsa). Quello della Romania con il suo progetto "Low-Budget Monuments". Divertenti quello Scandinavo e quello del Giappone. Buona la prova della Corea con gli scheletri dei personaggi dei fumetti di Lee Hyung-Koo, ed autori anche del miglior buffé d’inaugurazione, che dopo una faticosa giornata ci ha fatto esclamare a me ed a my lovely family (mia moglie e mia figlia "Soele") "Che Dio benedica i coreani". Un non classificato al padiglione della Germania da un po’ di anni sempre più simile ad un ufficio postale a causa delle sue lunghe code, questa volta passo.
Il povero Padiglione Venezia è destinato a non ospitare mai niente di decente visto che tra premi farsa ed omaggi inesistenti (quest’anno di Emilo Vedova non c’era neanche la puzza) si entra e si esce dall’altra parte con le stesse emozioni che si provano passando sotto un cavalcavia. E non voglio credere che la colpa sia dei 3 curatori (A. Vettese, C. Bertola, L.M. Barbero). La prossima volta propongo di affittarlo all’India che in un primo momento doveva essere presente alla Biennale, per la prima volta, con un loro padiglione, ma qualcosa è andato storto.





E finalmente ecco la novità; Il Padiglione Italia che torna ai suoi vecchi fasti. No! Non parlo di quello dei Giardini utilizzato per una scialba fiera d’arte, o almeno tale sembrava. Ma quello nuovo di zecca delle Tese frutto degli sforzi intrapresi soprattutto da Pio Baldi ed affidato alla cura di Ida Giannelli che chiama a se G. Penone, e vabbè! E ancora una volta F. Vezzoli che durante un’intervista l’ho sentito preoccuparsi del fatto che probabilmente non sarà invitato fra 2 anni visto che questa è solo la terza volta di seguito che lo fanno. Ma io se fossi in lui non dispererei visto che in Italia non si pratica il buon senso, ma piuttosto la regola del dispetto. "Nessuno lo vuole?!...a nessuno piace?!.. e io lo richiamo" Per cui io propongo "Vezzoli for ever". In realtà non è lui, che ci vuole stupire a tutti costi con i suoi lavori, come qualcuno ha detto, ma sono i curatori che continueranno ad invitarlo alla faccia di tutti gli altri. Quali altri? Volete i nomi? E io ve li faccio, Pietroiusti, Viel, Vitone, Vaglieri, Fantin, Tozzi, Norese, Umbaca, Marisaldi, Mezzaqui, Falci, Fontana, Modica, Losi, Di Bello, Mocellin, Pellegrini, Arienti. Che se fossero stati invitati anche tutti insieme avremmo probabilmente speso di meno, visto opere sicuramente più interessanti, e mostrato al caro Charles Saatchi ed al mondo intero che gli artisti italiani esistono e sono bravi almeno quanto i loro. Così si aiuta e si promuove l’arte italiana.
Ah dimenticavo di informarvi che il curatore unico di questa 52° Biennale di Venezia è stato per la prima volta un americano; "Robert Storr", ma forse non era importante.


Pubblicato su; "Orizzonti" n. 32 novembre – febbraio 2008


In foto Opere di; C.Capurro, M. Dean, C. Hill, I. Aballi, G. Basilico, B.Cella, G. Byrne e F. Vezzoli intervistato.

Testamenti di Pino Boresta

Niente di nuovo



"Questo quadro diverrà opera d’arte a tutti gli effetti solo se avallato da Achille Bonito Oliva". Così è scritto su uno dei miei testamenti esposti per la prima volta al MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea) nel maggio 2003. Consapevole di non affermare nulla d’inverosimile o strepitoso, mai avrei pensato a un’immediata e clamorosa conferma come in realtà è avvenuto. Infatti, è ormai noto a tutti che l’opera del giovane artista Rocco Dubbini, che ritrae Achille Bonito Oliva, è stata venduta a Bologna, a ben 50 mila Euro, durante Artefiera 2006. Fatto alquanto imbarazzante, a detta dello stesso Rocco, se si pensa che vi sono fior fior di grandi artisti che certe cifre se le sognano la notte. Subire un balzo di quotazione del genere in poche ore, può far parte del gioco dell’arte e sicuramente non scandalizza più, ma nessuno può impedirci di rifletterci sopra, o forse si? Dice bene Thorsten Kirchhoff "Il quoziente di vendita di un’opera d’arte non misura il quoziente di intelligenza dell’artista", ma forse quello del critico si? Siamo alla solita storia: i critici sono più importanti degli artisti? Lascio a voi le conclusioni.
Invece a chi sostiene che esiste una politica dell’arte e tutto questo ne fa parte, io rispondo che preferisco un’arte della politica. Ed è perciò che in un altro mio testamento affermo: "Questo quadro diverrà opera d’arte a tutti gli effetti solo il giorno in cui Rutelli diverrà calvo Berlusconi povero e Bertinotti Presidente della Repubblica". Visto che Fausto riveste ora la terza carica dello stato, cosa impensabile solo qualche anno fa, visto che Francesco qualche capello lo ha perso, e visto che Silvio mi dicono abbia smarrito il portafogli, oltre che la presidenza del consiglio, alla prossima occasione, consiglierei a voi tutti di fare più attenzione: potreste esserci pure voi in quelle che sono le profezie di Borestamus.



Pubblicato su; "Juliet" n. 135 December 2007 – January 2008




In foto; 2 Testamenti, Achille Bonito Oliva, Fauso Bertinotti, Francesco Rutelli, Silvio Berlusconi.

L'incontro di Pino Boresta


A cosa serve altra arte?






















Qualche anno fa a via del Corso a Roma ho fatto un incontro e la riflessione che n’è scaturita mi pare tutt’oggi più che mai valida, e per questo motivo ve la racconto.
Appena fuori al portone della famosa galleria ero sul punto di incamminarmi quando ho incontrato Emilio Prini. Andava anche lui all’inaugurazione e dopo avermi salutato mi ha fatto immediatamente notare una vetrina nella quale erano accuratamente esposti capi di abbigliamento a suo parere orribili. Effettivamente era così: quel negozio d’abbigliamento per uomo (che si trovava proprio di fianco al portone in questione) esponeva cardigan antiestetici, maglie con fantasie stantie, camicie con colletti improbabili. L’insieme aveva delle tinte improponibili, ed i completi erano di un taglio, né vecchi al punto tale da far tendenza, né tanto meno conformi alla moda più becera. In seguito ho ripensato a quella serata e mi sono reso conto di essere stato più stimolato dalla riflessione nata da quell’incontro davanti all’improbabile vetrina che non dal vernissage.


























Forse, la vera mostra era proprio lì, accanto a quel portone, ma chissà perché tutti si ostinavano ad oltrepassarlo per poi salire in galleria. E se gli artisti invece di fare solo mostre riflettessero di più sulle cose quotidiane? A che cosa serve produrre altra arte quando ce n’è già tanta? Creare uno stato di pensiero su quello esistente non potrebbe forse essere più utile? Non ditelo a Robert Storr lui di riflessione filosofica, sociologica o politica non è dato sapere quanto ne capisca. Ma sarà vero? O l’ha detto per evitare le critiche dei così detti "Artisti impegnati", che sono da sempre quelli più rognosi e polemici, e bravi a creare solo problemi?























Pubblicato su "Juliet" n. 134 October - November 2007

In foto; Emilio Prini, via del Corso Roma,  Robert Storr.