venerdì 21 marzo 2008

Elenco 1995/2001


Hanno scritto di Pino Boresta


1995 Ludovico Pratesi; testo scritto in occasione della personale alla Galleria Luigi di Sarro nel maggio 1995.


1995 Guglielmo Gigliotti; articolo pubblicato sulla rivista "Foto e Dintorni" n. 2 del giugno 1995.


1996 Francesca Capriccioli; testo scritto in occasione della mostra "Dimensioni Variabili a Siena del giugno 1996.


1997 g.l.; articoli pubblicati il 15 e il 18 maggio 1997 sul quotidiano "Libertà" di Piacenza.


1998 Bartolomeo Pietromarchi; testo scritto in occasione della personale "Residui Corporei", alla Galleria il Graffio di Bologna e pubblicata su "Artel"
n. 82, 1/15 maggio 1998.


1999 Dada Rosso; articolo pubblicato il 10 settembre 1999 su "Torinosette" n. 555 inserto della "La Stampa"


1999 Francesca Comisso e Luisa Perlo; testo scritto a seguito della partecipazione alla mostra "Incursioni" curata da Luca Vitone al Link di Bologna nel gennaio 1999.


1999 Paola Tognon; articolo scritto in occasione della performance tenutasi a Link di Bologna nel gennaio 1999 e pubblicato su "Incursioni" edizioni zero nel maggio 2005.


2000 Emanuela Nobile Mino; testo pubblicato sulla "Guida agli artisti contemporanei di Roma" 2000.


2000 Tiziana Platzer; articolo pubblicato sulla "La Stampa" il 6 aprile 2000.


2000 Pablo Echaurren; articolo pubblicato sulla rivista "Carta" n. 5 del marzo 2000 e come capitolo nel libro "Il suicidio dell'arte", edizioni Editori Riuniti, 2001.

2001 Pablo Echaurren; scritto e pubblicato come capitolo nel libro "Corpi estranei", edizioni Stampa alternativa, 2001.


2001 Pablo Echaurren; articolo pubblicato sulla rivista "Carta" n.15 del 18/25 ottobre 2001.


2002 Debora Iobbi; testo scritto in occasione della mostra all’Associazione Futuro nel maggio 2001 ed in catalogo.








1995 Ludovico Pratesi


MascheraSmorfia




"Perché mascherarvi con una smorfia? Avete mai pensato alle infinite possibilità di movimento che il nostro viso possiede o vi limitate ad usare le solite statiche espressioni: faccia seria, faccia snob, faccia intellettuale, faccia convenzionale, faccia imbronciata ecc.?"

Con queste domande Pino Boresta presenta le "Smorfie", grottesche deformazioni del suo stesso volto stampate su un cartoncino ritagliabile, da indossare semplicemente oppure da indossare semplicemente oppure da incollare sulla superficie curva di un barattolo di pomodori pelati. La "smorfia" è il codice linguistico scelto da Boresta per evadere agli artificiali stereotipi della società di massa, dominata dal linguaggio asettico e disumano dei mass-media, sottilmente dissacrato dall’artista nei "consigli per gli acquisti" che accompagnano il kit di istruzioni per la costruzione della "maschera smorfia". "Bisogna indagare le possibilità espressive del nostro viso – spiega Boresta – perché queste possono risultare utili a noi come agli altri. Forse è questa la strada per buttare giù quel muro di indifferenza che in questa società si sta sempre più diffondendo…"



Ed ecco le "smorfie" impossessano lentamente dei luoghi espositivi prescelti dall’artista per le loro apparizioni: galleggiano sul pelo dell’acqua che riempie una serie di secchi di plastica blu nella mostra "H2O" alla galleria Spazio Oltre, si appoggiano su strati di terriccio, vengono imprigionate da piccoli sacchetti di plastica trasparente o incollate sulle superfici metalliche dei barattoli di pomodori pelati nella collettiva "Cose" al Politecnico oppure, ritornate nella loro sede originaria (il viso dell’artista) animano una performance al Caffè Latino durante la rassegna Arte Fuori Circuito. Il linguaggio sarcastico scelto dall’artista si colloca quindi in una dimensione provocatoria, dove vengono a combinarsi istanze legate alla critica sociale (che affondano le radici in una tradizione che attraversa tutta la storia dell’arte, dalle maschere del teatro greco ai volti deformati di Niccolò dell’Arca, dall’ "Anima dannata" del Bernini fino alle facce beote dei ricchi borghesi tedeschi ritratti da George Grosz rivisitate secondo un’estetica contemporanea, che si sviluppa dalla pop art recenti icone postumane. In questa occasione Boresta presenta un’installazione legata alla sfera della sessualità: le smorfie sono inserite in alcuni preservativi, sospesi a mezz’aria. Un segnale forte, che sottolinea l’attuale necessità di "preservarci", di frapporre tra noi e i partners una barriera difensiva, un confine trasparente che impedisca contatti troppo intimi e pericolosi. L’opera viene inoltre arricchita da una scheda con le istruzioni necessarie per "catturare una smorfia". Il secondo lavoro consiste in una serie di quattordici contenitori per allarmi, personalizzati con altrettante smorfie, che indicano la situazione di emergenza dell’artista nella società contemporanea, il bruciante territorio d’indagine prescelto da Pino Boresta.




Ludovico Pratesi




Testo scritto in occasione della personale alla Galleria Luigi di Sarro nel maggio 1995.




In foto; opera smorfia, Sbarattoliamo una Smorfia, una Smorfia Non Affoga mai, performance Preserviamoci, smorfia in, fontana del Bernini, George Grosz.

1995 Guglielmo Gigliotti

















SmorfiArte


In principio era il corpo. Prima del segno, della figura, astratta e riconoscibile, scolpita o dipinta, c’è il corpo. Il segno vien dopo in quanto emanazione – Marshall McLuhan l’avrebbe chiamata estensione – del corpo e dei sensi e del loro rapportarsi e percepire le cose del mondo per raggiungervene altre che portano il nome di "arte"


















Non che il linguaggio corporeo non appartenga alla categoria artistica, ma esso aderisce talmente al "fattore vita" da risultare collocabile in una condizione quasi propedeutica rispetto ai processi che portano alla culturalizzazione linguistica e reinterpretativa del reale (interiore o esteriore che sia). Tutto si diparte dal corpo, e ad esso tutto torna, se non altro come referente di tutto ciò che si è prodotto. Altrimenti non si sprigionerebbe perché nell’attuale epoca ipertecnologicizzata che, tra l’altro, sta gettando le basi per la costituzione della Società Globale dell’informazione per via telematica e che prevede per il 2030 l’approdo su Marte, un artista, Pino Boresta, sia ancora impegnato a sondare i segreti che il corpo e la sua fenomenologia espressiva tengono serbati.

























Ad assumere il corpo come linguaggio fu ad inizio anni 60 per primo un gruppo di giovani artisti viennesi capeggiati da Hermann Nitsch che scandalizzarono la stampa più conservatrice per l’introduzione, nelle loro performances, di agnelli squartati, sangue e feci. Tuttavia la poetica da loro inaugurata, che la si chiami body art, arte comportamentale o altro ancora, ebbe l’apogeo solo negli anni ’70 quando emersero altri validi campioni di questa disciplina (rivissuta da taluni in maniera anche più soft), quali Urs Luethi, Gilbert & George, Giuseppe Chiari, Vito Acconci, Orlan ed altri.






















Per tutti questi, come oggi per Boresta, il quale è ben consapevole, a prescindere da flussi e riflussi, del potenziale comunicativo di un linguaggio che è ben lungi dall’esaurirsi, fattore determinante è la conciliazione definitiva dell’incessante conflitto sogetto-oggetto, autore-opera, per mezzo della presentazione di se stessi come campo operativo dell’azione artistica. In una globalità sinestetica fatta di spazi e tempi reali, suoni, luci, oggetti e movimento essi mettono in scena un’arte intesa come "esistere", un’arte che non sia rappresentazione di, ma sia e basta. Partendo da questi presupposti, Boresta, come in passato anche i suoi padri storici, collateralmente alla realizzazione di performances, ricorre a media, come la fotografia, che non contraddicono, bensì corroborano la centralità del corpo, in quanto si pongono come appendici informative e dunque arricchenti di un manifestarsi che rimane rigorosamente corporeo e comportamentale. È per questo che la fotografia, tanto importante nell’arte di Boresta, è da considerarsi non in quanto approdo di un pensiero artistico, quanto strumento per una sua completa espletazione. Presenza ossessiva delle fotografie di Boresta è la maschera mobile del proprio volto con il quale l’artista si produce in un parossismo mimico dai tratti grotteschi e comunque oscillanti tra il comico e l’inquietante.





















Ad incrementare l’impatto psico-visivo, le istantanee di questo teatro delle smorfie subiscono ulteriori manipolazioni e violazioni come la bi o tripartizione delle stesse in segmenti autonomi eppure accostati, la loro collocazione su supporti galleggianti, in secchi ricolmi d’acqua, l’arrotolamento tubolare e inserimento in preservativi pendenti da un filo teso in un ambiente o l'incollatura, a mo’ di foto-oggetto, sulla superficie esterna di un barattolo.


Una provocatoria campionatura di icone estreme dell’espressione umana, questa, tesa a riscattare la parte più intrigante del corpo umano dalla gabbia dei riti comportamentali imposti dalla società delle apparenze. Una società, peraltro, che tende sempre più a respingere e a ritenere inutili presentazioni non finalizzate ad un loro utilizzo "produttivo" alla quale il giovane artista risponde con la performance dal polemico titolo "Azioni inutili" dove, vicino ad operazioni del tutto quotidiane come lavarsi i denti e apparentemente insensate come lo strappo di pagine da un libro, quale azione "inutile" compare pure l’esecuzione delle sopra descritte installazioni fotografiche.



















È forse pure questo uno dei ruoli che deve svolgere l’arte oggi: preservare l’uomo, iniziando il discorso magari proprio dalla forma-contenuto del corpo.















Guglielmo Gigliotti


Pubblicato sulla rivista "Foto & Dintorni" n. 2 del giugno 1995.


In foto; Marshall McLuhan, Hermann Nitsch, Orlan, Giuseppe Chiari, Vito Acconci, Gilbert & George, io in performance, Luethi.

1996 Francesca Capriccioli





















Dimensione variabile

Pino Boresta lancia la proposta e invita il pubblico stesso a comporre l’opera: compilare nel tempo, durante il corso della propria vita, una raccolta di fototessere di gente comune da applicare su un album, "i Magnifici 65", opportunamente predisposto, secondo le istruzioni dettagliatamente espresse dall’artista.











L’operazione, apparentemente solo ludica rientra nell’interesse che il lavoro di boresta ha sempre rivolto alle dinamiche della comunicazione sociale, tra persone, tra individui, tra soggetti comuni. Se i media, la pubblicità, il marketing attraversano il nostro quotidiano affinando sofisticate tecniche di comunicazione finalizzate sostanzialmente alla promozione alla vendita, rivolte ad un "noi" globale, compatto, omogeneizzato, è invece proprio il valore della comunicazione intersoggettiva ad essere in crisi, la comunicazione parcellizzata, minuta, differenziata. Boresta a suo modo combatte indifferenza e appiattimento, cuce eventi catalizzatori che sollecitano la reattività individuale, tesse una protesta ironica, leggera, paradossale, invita a riannodare i fili della comunicazione tra soggetti estranei proprio attraverso la cortocircuitazione delle modalità che caratterizzano spesso l’incontro: la diplomazia, la forma, l’ipocrisia. La contaminazione che Boresta attua si basa soprattutto su un sistema di comunicazione che intende produrre disordine, sulla disseminazione, cioè sull’idea che viene suggerita e viene lasciata accogliere all’esterno per questo l’artista spesso sparge e affigge le proprie "istruzioni" nei luoghi più disparati della città. L’opera in mostra difatti, suggerisce lo sconfinamento verso il possibile, il trasmutare, mettendo in atto una procedura in divenire di "opera aperta", suscettibile di variazioni non programmate a priori dall’artista.
Francesca Capriccioli



























In foto; Album Maglifici 65, Intervento Urbano, Happening,

Testo scritto in occasione della mostra "Dimensioni Variabili, Siena 1996.

1997 G.L.























LIBERTA’ 15 Maggio 1997

Il singolare "giallo" di un cartellone stradale sullo Stradone Farnese

Riconoscete questa faccia?



Il cranio pelato, la faccia quasi deformata da un ghigno severo. Chi è questo? Il suo volto è comparso da qualche giorno al centro di un cartello stradale di divieto d’accesso, lungo lo Stradone Farnese (all’altezza dei giardini pubblici della Ricci Oddi). Uno scherzo forse. Ma anche un piccolo "giallo" che i nostri lettori possono aiutarci a svelare. Chi riconosce "L’uomo del cartello" (è piacentino?) può scrivere a Libertà.


LIBERTA’ 18 Maggio 1997


























Risolto il "giallo" del volto appiccicato su un segnale di divieto d’accesso lungo lo Stradone Farnese


L’uomo del cartello? È un artista


Si tratta di una "performance" di Pino Boresta, romano, attualmente presente ad una rassegna di Codogno dove invita il pubblico – distribuendo fotografie biadesive – ad esporre la sua opera e la sua immagine inserendole nel "tessuto urbano".
Non era uno scherzo. E neppure un "giallo". Il volto misterioso apparso su un cartello stradale lungo lo Stradone Farnese – e da noi riprodotto qualche giorno fa in prima pagina – era quello di un artista romano, Pino Boresta, 35 anni, attualmente presente con una sua opera (o meglio con un intervento) alla rassegna "Arte per tutti" di Codogno. Ed è proprio dalla mostra codognese che è approdata a Piacenza la "performance" dell’artista romano. Ad esportare il volto e l’opera di Boresta è stato il pubblico. Proprio così. Nello spazio espositivo a lui riservato all’interno della mostra, l’artista (anche se Boresta rifiuta questa definizione "quanto meno nel suo significato tradizionale") ha collocato grandi contenitori pieni di fotografie ritagliate da riviste del settore e che riproducono opere d’arte più o meno conosciute, ma anche suoi ritratti elaborati al computer. Sul retro di ogni immagine c’è del nastro-biadesivo. I pubblico può appiccicare le opere ad alcuni panelli appesi alle pareti (e che invitano a raggruppare le opere più belle, più commerciali, più impegnate socialmente, più curiose ecc.) oppure decidere di portare fuori dalle vetuste mura dell’ex ospedale di Codogno – sede della rassegna – queste stesse immagini. Ed inserirle nel contesto urbano. Magari, come a Piacenza, nel bel mezzo di un cartello stradale. "Si tratta - spiega l’interessato al telefono da Roma – di interventi sperimentali che sto portando avanti da due anni in diverse città di Italia fra cui Roma Milano Bologna e Pisa. Che cosa significano? È un mio modo di protestare contro l’invasione consumistica della pubblicità soprattutto attraverso i mass media. Sotto ad ogni fotografia che viene appiccicata c’è uno spazio libero ed una scritta: "Contribuite a contaminare la città con una vostra opinione sul fenomeno della pubblicità oppure scrivete ciò che volete". Chi può aver messo la mia faccia sul cartello stradale? Come si fa a saperlo? Certamente qualcuno che ha visitato la mostra di Codogno". In effetti, assieme alle foto artistiche, Boresta distribuisce al pubblico un "manuale" per l’uso con l’invito a partecipare alla "performance": "Prendete una foto ed impegnatevi ad applicarla su un palo o qualsiasi altro luogo della vostra città. Darete così la possibilità a qualsiasi passante di vederla". A svelare il "mistero" del volto riprodotto sul cartello lungo lo Stradone Farnese – tra l’altro proprio poco distante da un "tempio" dell’arte tradizionale come la Galleria Ricci Oddi – sono stati Maurizio Camoni e Lino Baldini, della Galleria Placentia Arte, organizzatori della rassegna di Codogno." L’intervento di Boresta ha ottenuto proprio lo scopo che si era prefissato – spiegano - e cioè quello di creare rumori di fondo del tessuto urbano. Far si che la gente si interroghi e venga coinvolta attivamente nel processo di creazione e discussione di un’opera. L’arte deve essere alla portata di tutti, incidere sul sociale. E proprio a questo tipo di arte è dedicata la rassegna di Codogno". Baldini e Camoni si segnalarono due anni fa per un'altra discussa operazione artistica: opera dello statunitense John Armleder. "È ancora lì – spiega Baldini – il tempo e l’acqua l’hanno inclinata e modificata. Ed è proprio in questo cambiamento che è testimoniata la grandezza dell’opera d’arte".
g.l.

Pubblicazioni del 15 e 18 maggio 1997 sul quotidiano "Libertà" di Piacenza.

In foto; Articoli pubblicati e 3 foto del progetto CUS.

1998 Bartolomeo Pietromarchi


Scusa è volato via









Il lavoro di Pino Boresta si è spesso incentrato sulle azioni di contaminazione artistica della vita quotidiana, intervenendo sugli oggetti comuni e banali come banconote, biglietti di autobus, adesivi delle sue "smorfie" disseminati ovunque. La contaminazione ha sempre cercato di coinvolgere gli "altri" attraverso richieste e sollecitazioni che costringessero ad un momento di riflessione che si distaccasse dalla routine quotidiana e suggerisse differenti possibilità di lettura della realtà di tutti i giorni. Con questa serie di lavori, invece, Boresta sospende il lavoro "relazionale" per esporsi direttamente ponendoci di fronte alla sua sfera più personale. Con i Residui Corporei del proprio corpo (capelli, unghie, ombelico e sperma) meticolosamente raccolti nell’arco di un lungo periodo di tempo, documentati con le foto o il video delle azioni che li hanno prodotti ed esposti in ordinata sequenza in maniera quasi asettica, siamo introdotti nella sua sfera privata, violandone quelli che sono considerati i limiti oltre i quali non è permesso introdursi. Attraverso questa operazione veniamo trasformati in voyeurismi non di una singola azione ma di una intera esistenza, posti di fronte ad una cruda rappresentazione documentaria delle azioni e ad uno spoglio feticismo del residuo. Il gesto, come quello della masturbazione ripetuto innumerevoli volte nel video che lo documenta, non ha più il carattere della provocazione fine a se stessa, cara ad un certo tipo d’avanguardia storica, ma diventa un ‘gesto continuo’ e documentato. Cosi l’evento perde la sua unicità ed esemplarità per divenire invece soggetto ad un fattore tempo che ha la caratteristica della ripresa diretta e continua in tempo reale e la forma di una pretesa oggettività informativa. Per l’oggettività e la consapevolezza dell’informazione al nostro occhio è permesso penetrare in ogni angolo di una sfera nascosta violandone l’intimità. L’operazione trova riscontro con il diffondersi delle ‘live cameras’ su Internet, una sorta di spioncini sul mondo, che trasmettono 24ore su 24 in diretta a milioni di spettatori immagini di qualche angolo recondito del pianeta e che ha visto recentemente una giovane ragazza inglese accettare un contratto da una televisione privata per farne mettere una nella sua camera da letto. Eliminando completamente la barriera che delimita la sfera privata da quella pubblica.

Bartolomeo Pietromarchi


Scritto in occasione della personale"Residui Corporei", alla Galleria il Graffio di Bologna e pubblicata su "Artel" n. 82, 1/15 maggio 1998,













p.s.
"Se ti interesserò ancora fammelo sapere" "Scusa è volato via"
"Io ti ho solo prestato il mio corpo e ci ho guadagnato i tuoi sogni"
"Per uno che non doveva far parte di questo mondo devo dire che ora mi costa abbastanza lasciarlo"
citazioni dal film Gattaca tratte da Pino Boresta


























In foto; momenti della raccolta dei Residui Corporei e frame del film Gattaca.



1999 Dada Rosso


Che cos’è l’arte




Che cos’è l’arte? Pino Boresta se l’è chiesto mille volte, poi lo ha domandato ad altri con insistenza per capire, per condividere, per comprendere. Lo ha chiesto dapprima ai suoi amici più intimi, poi ai conoscenti, poi agli amici degli amici, infine agli sconosciuti. Non soddisfatto ha deciso di condurre un’indagine volante, scegliendo a caso i suoi interlocutori, appostandosi un pomeriggio, verso le diciotto, in un sottopassaggio metropolitano, tra pendolari e passanti. Ha distribuito un cartoncino con la domanda e una penna per la risposta. Risultato: l’arte è nella fantasia, l’arte è tutto ciò che ci circonda purché la si riconosca, l’arte si vive, l’arte è provocazione emotiva. A questo punto Pino ha aggiunto la sua personale convinzione che compito dell’artista è creare degli ambienti che liberino il comportamento delle persone dalla noia in cui si trovano, progettare nuove attività inventare situazioni. Risultato, Pino si è messo a fare lo sciuscià. Avete capito bene: si è messo a pulire e lucidare le scarpe convinto di realizzar un’opera d’arte, sicuro che un buon uso di spazzole e stracci, cere e lucidi è artistico come l’uso di tavolozze e pennelli, tempere e oli. Pino ha pulito e lucidato scarpe di ogni tipo al Palazzo delle Esposizioni di Roma, al Link di Bologna. Sempre con grande successo, sempre rilasciando, a prova dell’avvenuto fatto, un certificato, un’autentica in tutta regola, con tanto di timbro e firma dell’ "Ultimo Degli Sciuscià", un artista di cui sentiremo ancora parlare.












Dada Rosso


Pubblicato il 10 settembre 1999 su "Torinosette" n. 555 inserto della "La Stampa"


In foto; Nove Domande ad Arte, Ultimo Degli Sciuscià e certificato, Dada Rosso.

mercoledì 19 marzo 2008

1999 Francesca Comisso e Luisa Perlo





La misura di tutto







La ricerca di Boresta prende forma in quello che si definisce il "laboratorio del quotidiano" con un riferimento alla teoria situazionista. A quella "vita quotidiana" che per i situazionisti costituiva, "la misura di tutto", e di conseguenza "delle ricerche dell’arte". In questo solco il rifiuto del carattere specialistico della pratica artistica, della sua prerogativa di momento separato dell’esistenza, segna le premesse del percorso di Boresta nella dimensione operativa dell’azione partecipata. Sostanzialmente Boresta predispone strumenti finalizzati ad una riqualificazione della sfera quotidiana. La sua operazione più pervasiva, "Cerca e Usa la Smorfia", che porta avanti da anni contaminando la strada con riproduzioni grottesche della sua faccia, è uno strumento per sdrammatizzare i microproblemi individuali. Usando l’affissione in chiave di détounemente, Boresta introduce elementi di disturbo all’interno dei codici linguistici urbani, finalizzati ad aprire varchi dialogici nello spazio deputato alla comunicazione univoca, quella pubblicitaria, invitando così i potenti interlocutori delle sue operazioni a diventare coproduttori o artefici tout-court. È questo il caso delle "istruzioni per l’uso" ironicamente pleonastiche con le quali Boresta suggerisce di contaminare artisticamente la vita di tutti i giorni, e di conservare la memoria sotto forma di reperti "autenticati". Il parametro dell’artisticità, che sostiene l’attribuzione di un valore aggiunto, appartiene alla strategia con cui Boresta ci induce a dedicare un’inedita attenzione agli aspetti ordinari dell’esistenza.
Non senza intenti sperimentali. Quando si cala nei panni di "L’ultimo Degli Sciuscià", com’è accaduto al Link, Boresta si avventura "nel tentativo di una ricerca d’arte che oggi sia realmente sociale" smantellando ogni residuo retaggio romantico legato alla figura dell’artista. Si pone "al servizio" dell’occasionale pubblico, pulendo gratuitamente le scarpe a chi ne faccia richiesta. Boresta genera così, con un semplice gesto di relazione, sanciti e avvalorati dall’emissione di un certificato. Uno dei tanti che apparentemente insignificanti, Boresta sottrae alla routine trasformandoli nei dispositivi essenziali, comprensibili e condivisibili da tutti, per ridefinire i confini dell’esperienza artistica.



Francesca Comisso e Luisa Perlo






In foto; Gruppo di Situazionisti, Segnale Stradale Rettificato, Manifesto Pubblicitario Rettificato, Ultimo Degli Sciuscià, Smorfia.



Testo scritto a seguito della partecipazione alla rassegna "Incursioni" curata da Luca Vitone al Link di Bologna nel gennaio 1999.

1999 Paola Tognon

















L’Ultimo degli Sciuscià


























Link. Buio, aria ancora fredda, attesa di "qualcosa" che deve avvenire, una birra nella mano, persone che si guardano, altre che si muovono, alcune che raccontano le visioni multiple di una giornata fieristica. Metto a fuoco una bambina che partecipa ad un’azione discreta a pochi metri dalla mia linea d’ombra. Sta vicina ad un tavolo, si sposta sotto la sua piattaforma di sicurezza nella penombra di una lampadina che si allunga sotto un filo volante. Ne considero lo sguardo attento, l’orgoglio che traspare nei movimenti: sta aiutando l’Ultimo Degli Sciuscià. Mi avvicino incuriosita, pensando ai bambini come filosofi senza tregua: domande, azioni e riflessioni a ritmo continuo. Pino Boresta sta lucidando le scarpe di G. R.; la sua perforrmance è in corso, la scatola dei lucidi colorati accanto, spazzola e stracci di lato, sgabello e poltrona sono occupati. Aria seria e composta, niente scalpore, luce pendula. L’impressione è quella di una situazione usuale – sai, le solite cose dietro l’angolo; ogni giorno sotto casa mia; all’ingresso della metropolitana; accanto all’edicola…-






















Ma.
C’è quella bambina che, prima di cascare addormentata su doppia fila di sedie accostate, osserva orgogliosamente questo padre-attore-artista performatico. Nell’aria l’imbarazzo degli astanti misurabile sul numero di sguardi alle proprie scarpe (speriamo non siano troppo sporche). L’avvicinamento sciolto di conoscenti e amici preferibilmente quando la sedia dell’Ultimo Sciuscià è occupata. Il nostro sguardo curioso che segue timbri e bolli sul certificato rilasciato da Pino Boresta a chi spontaneamente si è fatto pulire le scarpe. 
E.
L’incongruità evidente e silenziosamente spiazzante della performance. Realizzazione di un’azione di passata ri-memoria in un locale notturno "alternativo" con un paesaggio comune (che sta per abitudinario) mescolato a quello "dell’arte nazionale un poco ufficiale" che viene sottoposto ad un’azione discreta e continua -senza inizio e senza fine- in grado di riproporre alla nostra mente reliquie di film da cineteca. Un poco imbarazzante. Questa performance non ci stupisce con effetti speciali. Semplicemente si inserisce nella nostra riflessione. Metafora di previsione?

Paola Tognon



















Scritto a seguito della performance tenutasi a Link di Bologna nel gennaio 1999 e pubblicato su "Incursioni" edizioni zero nel maggio 2005.

















p.s.
Qui in foto un momento della stessa performance realizzata nel 1995 al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Mentre lustrando le scarpe al critico romano Massimo Carboni molti dei presenti hanno trovato la situazione particolarmente divertente e curiosa io invece mi sono interrogato cercando di capire, se nel caso specifico si raffigura lo stereotipo dell’artista che pulisce le scarpe al critico oppure al contrario di quello che fa le scarpe al critico che? Voi che dite?


(Riflessione di Pino Boresta)





In foto; alcuni momenti della performance Ultimo Degli Sciuscià, io con mia figlia Soele.

2000 Emanuela Nobile Mino


Ciak! Boresta prima





Pino Boresta; attivista del gruppo "Oreste", fautore di eventi e interventi artistici, Boresta ha partecipato e promosso molte iniziative del gruppo ospitate in differenti manifestazioni ("Oreste alla Biennale", 48a Biennale di Venezia, "Progetto Oreste Uno", con l’Associazione Zerynthia) collaborando alla redazione degli Album di Oreste Zero, e alla realizzazione dei libri già pubblicati dal gruppo. L’artista lavora con la performance e l’azione, spesso documentata da videoproduzioni, riflettendo sullo spazio, sui sistemi e sui componimenti sociali, come riflessi della cultura contemporanea. Boresta ricerca l’umanizzazione dei codici prestabiliti che nella vita di tutti i giorni contribuiscono ad irretire l’uomo in un circuito di azioni meccaniche.










La persona, intesa sia come essere vivente che come figura professionale, è quindi al centro del suo lavoro: nella performance "L’ultimo Degli Sciuscià" (Palazzo delle Esposizioni, Roma 1996, Link, Bologna 1999) l’artista si immedesimava nel ruolo di un lustrascarpe, professione in Italia ormai decaduta da anni, fornendo un servizio gratuito ai presenti. Con una serie di adesivi autoprodotti, riproducenti il suo volto in mille smorfie e atteggiamenti, Boresta ha negli anni tappezzato la segnaletica stradale, i muri e diversi luoghi delle città italiane segnando il suo passaggio. Nel 1998, invece, con "Residui Corporei", raccoglie le parte del corpo di cui periodicamente le persone si liberano (le unghie ad esempio). Recentemente per la manifestazione Big Torino 2000, l’artista, in veste di "arteologo" ha inventariato ed archiviato le diverse tipologie di rifiuti urbani rintracciati, in collaborazione con l’AMIET, in tre diverse zone della città. L’azione è video documentata ed il risultato finale fotografato e ricostruito. Nel 1997 è vincitore del concorso "Serial Public".







Emanuela Nobile Mino




Testo tratto dalla: "Guida agli artisti contemporanei di Roma" 2000.




In foto; Figurine ed Album Oreste Uno, grafici e figurine raffiguranti alcuni momenti della residenza dove si vede i stessi partecipanti collezionare e scambiarsi le figurine del precedente Album