giovedì 18 febbraio 2010

Elenco 2005/2009


Hanno scritto di Pino Boresta



2005 Silvia Biagi; testo scritto in occasione del WebArt project “No logo CUS”

2006 Claudio Morici; testo pubblicato come capitolo nel libro “notebook” a cura di Dario Morgante, edito da coniglio editore.

2007 Tania Vetromile; testo scritto in occasione della mostra/evento "Firma Boresta" all’Associazione Aevum, nel dicembre 2007.

2007 Chiara Li Volti; articolo pubblicato on line su “Culturlazio” il 29 novembre 2007.

2008 Valeria Arnaldi; articolo pubblicato su “il Giornale” il 22 marzo 2008.

2008 Carla Ferraris; pubblicato on line su teknemedia il 3 giugno 2008.

2008 Fulvio Abbate; articolo pubblicato su “L’unità” il 22 giugno 2008.

2008 Chiara Li Volti; testo dal catalogo “SM° Scala Mercalli - Il terremoto creativo della Street Art Italiana” a cura di Gianluca Marziani, edizioni Drago.

2009 Daniele Capra; testo scritto in occasione dell’incontro "Why not me to the Venice Biennial? ", tenutosi ad “ArtO’ International Art Fair” Palazzo dei Congressi, Roma il 3 aprile 2009.

2009 Daniele Capra; articolo pubblicato on line su “Exibart” il 26 giugno 2009.


2005 Silvia Biagi


Loss of space



“Perdita di spazio”, o piuttosto invasione dello spazio da parte dei sempre più complessi ed invasivi sistemi di marketing aziendali. Con questo intervento Boresta continua la sua “azione di disturbo” contro il sistema onnivoro della pubblicità: partendo dal classico antiglobal di Naomi Klein “No Logo”, propone un’inedita esplorazione del testo attraverso alcune brevi frasi selezionate, che permettono all’utente del sito di crearsi un proprio personale percorso, diverso ogni volta.
























Al moltiplicarsi dei loghi aziendali Boresta oppone invece il proprio logo personale, che non è poi altro che il suo stesso volto deformato in diverse smorfie. E con queste smorfie, trasformate in stickers adesivi, ed incollate in ogni punto della città, su muri, manifesti, cartelli stradali, indicazioni, segnali di divieto, Boresta ha compiuto una vera e propria operazione di riappropriazione dello spazio urbano.
























La smorfia diviene in questo modo anche marchio o logo dell’artista, in opposizione ai loghi che quotidianamente vengono imposti dal martellante condizionamento pubblicitario. Un logo scanzonato e irridente, tanto più prezioso quanto meno legato ad intenti commerciali, totalmente svincolato dalle logiche economiche e di mercato.


Silvia Biagi

Testo scritto in occasione del WebArt project “No logo CUS”


In foto:

- Intervento urbano CUS
- Cerca ed Usa la Smorfia.

- Foto rivisitata di Naomi Klein.

- Intervento urbano CUS con 2 facce attaccate a distanza di tempo di 2 anni una dall’altra.

2006 Claudio Morici



Pino Boresta c’è!




Una delle prime volte che ho visto Pino Boresta stava in un locale romano, con una decina di persone davanti. Leggeva un suo testo, eccolo:
"No, no, si, no, si, no, si, si, no, si, no, si, si, no, si, no, si, si, no, no, si, si, no, si, no, si, si, si, si, no, no, si, no, si, no, si, no, si, si, no, no, si, si, no, si, si, no, no, si, si, no, si, no, no, si, si, si, si, no, si, si, no, si, si, si, si?, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, si, no, no, no, no, si, no, no, no, si, no, no, no, no, no, no, no, no, si, si, no, si, si, si, si, si, no, si, si, si, no, si, si, no, si, si, no, no, si, no, si, no, si, si, no, si, si, no, no, no, si, si, no, si, no, si, no, no, si, si, no, si, si."
Poi si fermava qualche secondo, guardava il pubblico e riprendeva così:
"Da lunedì 8 luglio 2002 al martedì 19 ottobre 2004. I si sono le volte che mia moglie ha raggiunto l’orgasmo, i no sono le volte che invece non l’ha avuto"
Risate collettive. E ancora Boresta:
"Può risultare utile sapere che sono stati conteggiati come rapporti amorosi anche i rapporti orali. Vorrei aggiungere anche che il 24 settembre 2003 nasce la mia terza figlia Anisia, a lei dedico questo lavoro"

























Ieri gli ho dato appuntamento alle 16 e 30 a viale Marconi. Di sabato. Dimentico sempre cos’è viale Marconi a quell’ora. Un inferno di lamiere, clacson, ragazzine con il piercing e la madre che porta le buste, vigili urbani con la penna facile e un esercito di extra comunitari davanti ai negozi, con i loro sacchi di CD che chiudono e riaprono in base alle informazioni dei colleghi che fanno il palo. Impossibile trovare parcheggio.














Incontro il Boresta a piazzale della Radio, sorridente, non gliene frega nulla del traffico perché è venuto con i mezzi. Lui c’aveva pensato. Mi fa una smorfia e indica il cartello stradale. Prende per il culo? No, indica la sua faccia, con la stessa smorfia, sul cartello. Fantastico! I suoi adesivi sono ancora disseminati qua e là. C’è gente che non si interessa di arte ma appena gli faccio vedere l’adesivo mi dice "Ma dai! Ecco chi era!".
"E’ un lavoro degli anni novanta. All’inizio c’erano solo i miei, ora guarda…"
In effetti la sua faccia corrosa dal tempo ora è circondata da una decina di altri stickers. Ma lui è stato il primo in Italia. Poi ha diffuso anche l’adesivo interattivo, dove si poteva scrivere un commento sopra (alcuni sono stati raccolti e i migliori esposti). Ha realizzato anche cose tipo Disordinazioni Elettorali dove sovrapponeva la sua faccia adesiva ai manifesti elettorali del 2001 (senza pregiudizi di schieramento).




















Ma la cosa più bella che ho visto è un video di Venezia girato da lui stesso. Si vede Pino che poggia la telecamera sopra qualcosa. Poi si avvicina al cancello della Biennale con il suo giubbino grigio a 8 tasche. Controlla a destra e a sinistra, fa il vago. Tira fuori dalla tasca la sua faccetta e l’appende proprio sotto la scritta "ingresso". Poi torna alla telecamera. Fruscii. Nero. La performance va avanti per 60 minuti di cassetta, mette adesivi nei bagni, accanto alla opere più famose, nelle crepe dei muri, sulle scale, sulle maniglie delle porte, subito dopo i nomi degli artisti. In pratica la Biennale l’ha fatta anche lui.
"C’è gente che dice che sono narcisista. Ma mi hanno visto bene? Mica sono così bello, no? E poi faccio pure le smorfie. E’ una forma di autodenigrazione, no?"
Lo faccio salire in macchina. Decidiamo di iniziare l’intervista subito, probabilmente saremo a metà quando troveremo parcheggio. E non abbiamo tanto tempo, il Boresta deve accompagnare una figlia a nuoto passando in farmacia per comprare l’aspirina per l’altra bambina, febbricitante. Sempre che sua moglie si ricordi di prendere il terzo pargolo dalla nonna e di fare la spesa. Io invece devo tornare a lavoro e consegnare entro lunedì i testi per il sito italiano di una nota quanto discutibile multinazionale, sono due domeniche di fila che ci sto sopra. Parto con la prima domanda:
"Pino, chi cazzo ce lo fa fare?"
"Ah, non lo so. La risposta cambia sempre."












Lo assillo su questa cosa da quando ci siamo conosciuti per la mia antologia Teoria e Tecnica dell’artista di merda.
"Nel 1997 ho fatto una performance sui tapis roulant della stazione di Piramide. Distribuiva penna e questionario alla gente di passaggio. Nove domande tipo Cos’è l’arte? Dov’è l’arte? Chi è l’arte? Quant’è l’arte? All’uscita un mio compare le raccoglieva. Tutti avevano una loro teoria sull'arte. Da chi scriveva "questa no", fino a digressioni filosofiche più o meno ardite... Eccolo! Eccolo!!!"
"Che?"
"Eccolo... lì!"
Dall'entusiasmo si direbbe abbia riconosciuto chi gli ha fregato il portafoglio, invece Pino mi segnala solo un posto libero sulla destra. Lo supero e provo a fermarmi, ma una piccola fila di stressati mi pressa alle spalle. Sento una signora che fa "A deficienti!". Non do segni di reazione, neanche lui. Potrebbe essere una signora più grossa di noi.
"Da un po’ credo che tutto quello che ho fatto nell’arte, l’ho fatto per qualcun altro. Perché a qualcun altro sarebbe potuto essere utile. Mi sento un po’ un inserviente"
"Un inserviente?"
"Sì, delle persone che lavorano lontano dalla ribalta e che poi all’improvviso se ne escono con qualcosa che cambia il mondo. Scienziati, inventori, grandi pensatori, filosofi… Ho sempre pensato di voler fare qualcosa per loro. Ma non vale solo per l’arte, anche per la raccolta delle mie manie: i diari che ti ho fatto vedere"
Posso testimoniare che il Boresta appunta da molti anni, su moduli preordinati comprendenti anche sottosezioni qualitative, tutte le volte che si taglia le unghie, i capelli e che gli fa male lo stomaco. Segna anche le volte che eiacula, dividendole in solitarie e con la moglie. Tutto è schedato, archiviato e descritto in una riga tipo "a croce, distesi, gambe incrociate".
"Mi piace leggere le biografie. Spesso nelle biografie capisci che un sacco di gente fa cose che poi servono ad altri. Senza averne piena coscienza. Magari altri lo usano per qualcosa che neanche ti immagini lì per lì".



Penso all’antropologo Lévi-Strauss, nei primi del ‘900. Aveva capito che doveva appuntare tutto. E che le cose che in quel momento potevano sembrargli più inutili (se aveva dormito o no di notte, se si incazzava con il portatore, ecc..) sarebbero state le più importanti per chi le avesse lette cinquant’anni dopo. Perché valevano per modelli teorici nuovi, ancora inimmaginabili.
"Mi piace pensare di aver dato il quid per un idea a uno scrittore, a uno scenografo, a un regista, ecc.. A volte è avvenuto è mi ha fatto piacere".
So perché me l’ha detto lui, che Pablo Echaurren si è ispirato a il Boresta per uno dei personaggi del suo bel romanzo Delitto d’autore.
"Sono appunti che usi anche per le tue opere, no?"

"Certo, anche quando ho fatto le foto al suicida non sapevo a che potesse servire. Non sapevo che si sarebbe buttato, né che sarebbe diventata un’opera di net art".
Il Boresta fa riferimento a Hey! My friend, what’s the matter?, lavoro pubblicato nel 2001 su Exibart. Vengono messe online tre foto con un ragazzo di spalle che si sporge dal terrazzo. Insieme a una ricostruzione autentica dei fatti: Pino nota una persona immobile sul terrazzo da vari minuti, gli scatta delle foto e torna a casa. Quando ripassa lo trova sempre lì. Forse capisce le sue intenzioni ma non è sicuro, e non fa in tempo a far niente, non fa in tempo a dirgli "Hey! My friend, what’s the matter?". Il ragazzo si butta davanti ai suoi occhi. Insieme alle tre foto e al racconto dei fatti, viene allegato il documento ufficiale della polizia londinese, dove Pino Boresta viene chiamato a testimoniare sull’accaduto. La provocazione artistica, una delle più belle che abbia visto in rete, inizia nel momento in cui Pino invita gli utenti a:
"Riflettere se considerare COLPEVOLE o INNOCENTE l’osservatore del fatto, per non avere aperto la finestra strillando "Hey! My friend, what’s the matter?". Quindi spedire un messaggio nel quale riportate il vostro insindacabile giudizio"
RandomExibart mette quindi a disposizione un forum. Dove succede di tutto. Centinaia e centinaia di messaggi. Da chi scrive: "Ti meriti 30 anni di carcere", " Ci penserà la tua coscienza a punirti" oppure "Colpevole, per aver messo in mostra una cosa del genere lodando e lodandosi…", a chi apprezza e scrive: "Sono stato giorni a discuterne con i miei amici", "Fa male, come se avessimo anche noi la colpa".
"Ho fatto questo esempio non a caso. C’è appunto questa cosa della morte. Io prendo nota in modo maniacale delle mie abitudini per esorcizzarla. E allo stesso tempo per prepararmi. Segnarsi i rituali quotidiani, è un modo per meditare. Ogni giorno fai quelle cose, poi sebbene sembri assurdo, da un momento all’altro tac, fine. Ci sarà un numero preciso e limitato di volte che mi sarò tagliato le unghie. Magari 12.450, che ne so. Io attraverso l’arte mi preparo a quel momento. So anche che sarò sempre impreparato, certo."
Imbocco una stradina interna. Qui non c’è traffico ma di parcheggio neanche l’ombra. In più temo di essermi perso. In più devo pisciare. Passiamo accanto a una vecchia fabbrica di qualcosa. Tutto arrugginito, cadente, con l’erba che cresce dappertutto. Eppure intorno è pieno di macchine.

























"Siamo stati gettati in un marasma di cose belle, cose brutte, affetti, malattie, gioie… A un certo punto finisce tutto. Ma hai pochi momenti per accorgertene, no?"
"Stai nel marasma, non fai in tempo"
"Esatto. Devi farti delle tecniche. A volte mi è molto utile osservare i miei figli, La prima volta che cammini, che impari a parlare, poi la scuola, le cose belle e le cose brutte… è tutto un marasma dove sono pochi i momenti in cui ti raccapezzi. Però ieri mio figlio Mairo lo sai che ha detto?"
"Che ha detto?"
"Litigava con la sorella: sosteneva che Dio è della Lazio, perché le nuvole sono bianche e il cielo è celeste. Lui si che è un grande artista!"
In effetti il piccolo Boresta l'ho conosciuto ed è uno sveglio, sebbene non superi il metro e venti di altezza.

"Tu come hai iniziato?"
"Ho sempre avuto una fascinazione per lo spermatozoo. L’idea che dentro questa specie di girino ci sia la vita, ci sei già te. Fantastico!
Ci pensavo sempre: come fa a essere così piccolo?"
"In pratica sei stato ispirato dalla sborra?"
"Beh, quando stavo a Londra e facevo degli studi sui tovaglioli e avevo preso l’abitudine di macchiarli con lo sperma, come firma. Lo cerchiavo con il pennarello, insieme a una ciocca di capelli.
Così ogni opera poteva essere un figlio, no?"
"Perché eri andato a Londra?"
"All'inizio dovevo restare pochi mesi, per l'inglese. Poi sono rimasto quasi 4 anni. Lavoravo e portavo avanti la mia ricerca artistica che all’epoca era molto formale. Riguardava la pittura, il colore. I miei riferimenti erano Kokoska, Klimt, Schiele, Soutine"


























"Perché utilizzavi dei tovaglioli?"
"Li solavo al ristorante dove facevo il cameriere. Avevo la continua necessità di supporti su cui fare le mie cose. Ma da una parte non avevo i soldi per le tele e dall’altra mi bloccavano. I tovaglioli del ristorante erano un supporto povero che però mi dava più libertà d’azione. Pensavo se sbaglio chi se ne frega. Potevo sempre fregarne un altro il giorno dopo".
"Li ho visti in foto, sono molto molto interessanti. Ma come facevi a dipingervi sopra?"
"La matita non scorreva bene, allora usavo un carboncino tenerissimo. Poi invece di utilizzare il pennello usavo un bastoncino. I soggetti che disegnavo erano spesso autoritratti o facce di bambini del terzo mondo".


























Ho ritrovato la strada, ma siamo fermi al semaforo. Se non ci fosse il semaforo saremo fermi lo stesso perché è tipica di viale Marconi la fila a passo d’uomo e la continuità per tutta la strada, indipendentemente dai semafori.
Un lavavetri si impossessa del mio parabrezza. E’ di quella specie che sconfina con il barbone. Pino tira fuori dalla borsa qualche spiccio e mi viene in mente la prossima domanda.
"Quanto c’hai fatto quella volta?"
"Che?"
"Quando hai fatto il lavavetri…"
"40.000 lire. Però è stata una giornata terribile. Mai più."
Nel 2001 il Boresta s’è inventato il Lavavetri No Profit. Se ne è stato al semaforo per una giornata con un socio del Bangla Desh conosciuto a un semaforo. Lui con una maglietta con scritto "Lavavetri a gratis" e l’altro con scritto "Lavavetri con offerta". Rientrava all’interno di una serie di interventi urbani fatti in tutta Italia.
"E’ una condizione di umiliazione che ti tocca per tutta la vita. Le facce di disprezzo, gente che ti urla addosso o ti guarda con fastidio. Ma la cosa che più mi ha ferito è stata un’altra: pensano che stai lavando i vetri perché non hai la capacità di fare altro. E’ così. Non pensano che lo stai facendo perché magari sei nato nel sud est asiatico, pensano proprio non hai le capacità per fare altro. Non potresti fare quello che fanno loro, ad esempio. Assolutamente no. Poi è stato interessante notare che mi trattavano proprio come il mio compagno di performance, un ragazzo extracomunitario. Da una parte sono stato contento che non ci fosse del razzismo. Però ti fa capire quanto sia una questione di condizione, di ruolo. Se fai quello, sei quello, non si scappa."
Mi si è intristito il Boresta. Guarda fuori il finestrino, pensieroso. Vederlo triste è una tragedia per me. Di solito è un gran cazzarone. Però ha molti di questi momenti contemplativi, non lo ritiri più fuori per qualche minuto.
"Lo sai perché ho fatto questa performance al semaforo?"
"Per guadagnare più soldi di un artista medio-famoso italiano?"
"No. Perché mio padre mi diceva sempre che avrei finito con il fare il lavavetri"
"Davvero?"
"Sì, sì. Non abbiamo mai avuto un bel rapporto".
"Raccontami un po’".
"Però tu non lo metti nell’intervista OK?"
"Certo se vuoi non lo metto"
"Sicuro?"
"Pino ci mancherebbe, lo sai che puoi fidarti, no?"


























"Va bene. Mio padre è un tipo a dir poco strano. Il mio terrore più grande è quello di assomigliargli, prima o poi. Credo di no, ma non si sa mai, sto sempre sul chi va là. In pratica non ho mai vissuto con lui. Non mi ha mai incluso nella sua vita. Lo andavo a trovare nei weekend, e ogni volta era un massacro. Mi ha sempre criticato tutto, denigrato, umiliato. Per l’arte non ne parliamo. "Prendi ‘sti pennelli e ficcateli nel culo. Vai a zappa’ la terra, vai a fa’ il lavavetri". Alla fine ci sono andato per davvero, per mettermi alla prova"
"E tu lì per lì come reagivi?"
"Dopo un po’ sono riuscito a gestirlo. Ma all’inizio non ne avevo proprio il coraggio. Quando tornavo da queste "vacanze" di uno o due giorni ci mettevo un mese per riprendermi. Per lui è una continua sfida, deve dimostrare sempre che è più bravo e più intelligente di me. Poi è un maniaco dell’igiene, qualsiasi cosa facevo era schifosa, da barbone. Assurdo. Io credo che lui a suo modo mi voglia bene, ma non so l’amore dove sia collocato all’interno della sua scatola cranica"
Brutta faccenda. Ma non posso fare a meno di pensare alla faccia con smorfia di Pino spiattellata a Roma, Milano, Torino, Venezia. A Kassel, a Berlino, Londra. Sui segnali stradali, sulle vetrine, sulle opere brutte di artisti fighetti. Una specie di "Pino Boresta c’è". Con chi pensa che è un narcisista, chi un deficiente, chi gli vuole menare perché sporca. Ma la cosa funziona e, appunto, Pino Boresta c'è. E siamo pure contenti.
"Se non mi fossi esercitato con mio padre, non sarei mai resistito nel mondo dell’arte. Con tutto quello che ho dovuto sopportare anche lì. Non a caso l’arte ormai è una questione di Famiglia".


Una delle cose più belle che mi ha fatto vedere Pino sono i suoi adesivi logorati dal tempo, accuratamente staccati da dove si trovavano e incorniciati ad hoc. Su ognuno il tempo ha operato in modo imprevedibile. Ogni adesivo è quello che rimane della smorfia del Boresta, quello che non si è distrutto nel processo, il nocciolo delle cose, ogni volta diverso.
Alla fine non ci siamo mai fermati. In fondo Roma è bellissima e i parcheggi non servono a niente.

Claudio Morici













Pubblicato nel libro “notebook” coniglio editore bamako febbraio 2006.

In foto:

- Opera dal titolo “Pino e Titti da lunedì 8 luglio 2002 al martedì 19 ottobre 2004” (il "Si" in rosso è il giorno in cui è stata concepita mia figlia Anisia).

- Pino e Anisia fanno l’aereo, Titti sullo sfondo.

- Extra comunitario vucumprà.
- Intervento urbano CUS.
- Libri “Teoria e Tecnica dell’artista di merda” di Claudio Morici e “Delitto d’autore” di Pablo Echaurren.

- L’antropologo Claude Lévi-Strauss.
- Foto del lavoro “Hey! My friend, what’s the matter?”.
- Mio figlio. Mairo.
- Spermatozoi normali e anomali.
- Oscar Kokoska, Gustav Klimt, Egon Schiele, Chaim Soutine

- 4 opere della serie dei tovaglioli.

- 4 foto della performance “Lavavetri No Profit”.
- 2 tavole di smorfie deteriorate.
- Claudio Morici.

2007 Tania Vetromile


Meno kermesse più artisti




























Il progetto “Firma Boresta”, è una campagna per la raccolta firme in favore della partecipazione di Pino Boresta alla prossima Biennale Internazionale di Venezia. L’operazione muove dall’esplicito diniego di Boresta a firmare e sostenere una campagna promossa nel 2005 da alcuni noti personaggi del sistema dell’arte italiana in favore della partecipazione di artisti italiani all’importante kermesse d’arte veneziana. Motivando, attraverso una lettera pubblica, con la totale sfiducia nei confronti dei meccanismi di selezione degli artisti insiti nel nostro sistema dell’arte contemporanea, Boresta si è lasciato coinvolgere in un divertente botta e risposta che, fra il serio ed il faceto, ha indotto l’artista a perorare la sua causa attraverso un plebiscito popolare.


Il progetto Firma Boresta, in cui è evidente un’esplicita componente di protesta, implica ulteriori evidenze contenutistiche e formali. Il coinvolgimento dello spettatore anzitutto, in questo caso chiamato a firmare e, se lo desidera, a farsi fotografare - decidendo così di comparire nell’opera che l’artista realizzerà al termine della sua raccolta – è uno degli aspetti che contraddistingue la ricerca artistica di Boresta, tesa ogni volta nella ricerca di nuove forme d’interazione con lo spettatore, coopartecipe nella costruzione di modalità alternative di vivere quotidiano.

Diversi anche i rimandi che possono essere rintracciati nell’attualità: il problema della meritocrazia, la sensibilizzazione dei cittadini alla presa di coscienza delle sovrastrutture di controllo, cittadini questa volta chiamati in causa, attraverso il gioco ironico dell’artista, su un terreno che, seppur totalmente loro estraneo per interessi e contenuti di merito, appare viziato di insidie largamente diffuse. Non da ultimo l’aspetto legato all’auto-referenzialità, predominante nell’operazione artistica di Boresta e utilizzato come elemento di rottura nei confronti della società globalizzata e consumista/consumistica: dalle famose “smorfie adesive”, disseminate nel contesto urbano, dei Documenti Urbani Rettificati (a contaminare manifesti, verbali di multa, cartelli stradali) ai piccoli adesivi in cui, sotto la propria faccia, l’artista chiede di lasciare un messaggio.


Per l’occasione è stato presentato il progetto di Net art No-logo C.U.S., ideato da Pino Boresta e realizzato in collaborazione con l’associazione Aevum. Nel progetto No-logo C.U.S. visibile ed esplorabile sul sito www.aevum.it, Pino Boresta associa le immagini-documento di uno dei suoi interventi urbani più popolari “Cerca e usa la smorfia” (C.U.S.) a brani tratti dal saggio della scrittrice canadese Naomi Klein No logo, già definito quale “bibbia” del movimento anti globalizzazione. Il volto- smorfia di Boresta, da anni disseminato nelle strade di Roma e di altre città italiane, inteso come ironico e irridente “marchio” o “logo” dell’artista svincolato da qualsiasi logica economica e di mercato, diviene mezzo di opposizione all’invadente industria dei marchi e delle firme che quotidianamente cerca di imporre ai “consumatori” il proprio condizionamento pubblicitario.
























Con il progetto No-logo C.U.S. destinato alla fruizione sul web, luogo per eccellenza dell’”interconnessione”, viene innescato un possibile contatto tra le riflessioni contenute nel testo della Klein e la possibilità, mediante un’operazione artistica come “Cerca e usa la smorfia” di Boresta, di riaffermare l’individualità del singolo, riappropriandosi al tempo stesso dello spazio urbano attraverso un intervento “disordinante”, tendente ad attivare un rapporto diretto con l’osservatore, non più passivo consumatore ma partecipante attivo invitato a scrivere ciò che pensa riguardo alla pubblicità e alla sua invadente presenza nella vita delle città.


Tania Vetromile

L’evento dell’artista Pino Boresta si è svolto sabato 1 dicembre 2007 con due progetti inediti realizzati in collaborazione con l’Associazione Culturale Aevum, a cura di Tania Vetromile, Donatella Apuzzo e Marta Seravalli.

Comunicato stampa pubblicato on line sui siti Exibart, Undo.net, Teknemedia, Mentelocale, Romaguide e diversi altri e sulla rivista d’arte Juliet n.136.


In foto:

- Raccolta firme in favore della partecipazione di Pino Boresta alla 53° Biennale di Venezia.

- Alcuni momenti dell’evento del 1 dicembre 2007 Ass. Culturale Aevum.

- Libro di Naomi Klein No logo con copertina rivisitata.

2007 Chiara Li Volti


La raccolta firme di Pino Boresta



























Accadde nel 1999. La Biennale di Venezia, quell’anno fu l’edizione di Harald Szeemann, “soppresse” il Padiglione Italiano, che confluì nella mostra generale, inglobata nel progetto del Direttore, esteso dalle Corderie fino agli spazi dell’Arsenale. L’Italia, paese ospitante l’evento, perdeva la possibilità di concorrere al premio assegnato al miglior Padiglione ma, cosa più importante, sembrava definitivamente destinata ad accettare il peso storico di una tradizione che lega il nostro paese ad un luminoso passato artistico, cui fa da contralto quella difficoltà, riscontrata in diversi campi, non solo culturali, di farsi driver di innovazione.























Nel 2005 la protesta. Una lettera, aperta alla firma di quanti più possibili sostenitori - realizzata con la collaborazione di differenti associazioni culturali, curatori e critici d’arte - venne indirizzata al Presidente della Fondazione della Biennale di Venezia Davide Croff. Si richiedeva specificatamente la necessità di una rappresentanza nazionale e l’istituzione della figura di un Commissario al quale affidare il Padiglione Italia. In mezzo a tutto questo la richiesta apparentemente controcorrente di Pino Boresta. Artista provocatorio, diretto e sincero, nello stesso anno scrisse “di un’italietta contemporanea” mediocre, in cui l’animo della rappresentanza sarebbe stata invalso a fronte di un sistema dell’arte che fatica a premiare chi davvero meritevole di esserlo. Chiedeva infine di non sottoscrivere il precedente appello e, al contrario, firmare quello che avvalorava la sua stessa produzione, più che qualificata per concorrere alla Biennale medesima. L’ultima biennalità ha dimostrato tuttavia che a nulla è valsa la pretesa di Pino Boresta, a dispetto di un Padiglione Italia che, con tutte le critiche di contorno, è comunque tornato al suo posto. Ma Boresta persiste.


Sabato 1 Dicembre, in collaborazione con l’Associazione Culturale Aevum, inserito nel ciclo di eventi espositivi “Mario a un anno” (dal nome del quartiere che ne è sede: Monte Mario), l’artista dà ufficialmente il via al suo secondo tentativo: “Firma Boresta” è una campagna di firme in favore della sua partecipazione alla Biennale prossima. Questa volta, alla posta elettronica, preferisce fin da subito la Piazza reale, quella di Nostra Signora di Guadalupe. Per la tradizionale agorà mostra un’antica predilezione, a cominciare da quegli interventi sul suolo urbano che sono la natura più spiccata della sua espressione artistica.


Adesivi su cui campeggiano le sue smorfie o piccoli Documenti Urbani Rettificati sono i due esempi più significativi della sua irriverenza. Boresta sembra voler rispolverare l’eredità di un Marcel Broodthaers nel momento in cui sceglie l’arte per farne vettore di consenso personalistico, quando l’artista belga ne faceva veicolo di approvazione culturale aggirando le istituzioni ufficiali e, anzi, emulandole, facendone il verso. Come non fare allora del progetto di Boresta una lettura dissacrante delle ultime tendenze del fare politica, dalla partecipazione locale ad un’interazione vis a vis con i firmatari che, vista la sede inusuale dell’evento, si presuppone poco abbiano a che fare con le questioni di “inclusività” nel sistema dell’arte contemporanea. A seguire una seconda parte dell’evento verrà inaugurata negli spazi dell’associazione: “Net art No-Logo C.U.S.” come estesa visibilità del marchio, l’ostentazione del proprio personalissimo brand.




















Pino Boresta intreccia il resoconto visivo di uno dei suoi interventi “Cerca e usa la smorfia” (C.U.S.) ad alcuni brani tratti dal saggio “No Logo” di Naomi Klein “bibbia del movimento anti globalizzazione”. Dal cittadino che firma la sua protesta al nettadino che visita il sito in cui il progetto “No-Logo C.U.S.” continuerà ad esistere, Boresta non lascia fuori nessuno.

Chiara Li Volti

Pubblicato on line su “Culturlazio” il 29 Novembre 2007

In foto:

- Raccolta firme per la petizione del progetto “FIRMA BORESTA”.

- Harald Szeemann e Davide Croff.

- Un momento dell’evento del 1 dicembre 2007 all’Ass. Culturale Aevum

- Marcel Broodthaers.

- Intervento urbano CUS - Cerca ed Usa la Smorfia.

2008 Valeria Arnaldi


Basta raccomandati


La petizione diventa un'opera d’arte
«Basta con i raccomandati» e l’artista fa la raccolta di firme
La provocazione di Pino Boresta diventa un “work in progress”


Manifesti, volantini e banchetti per la raccolta di firme. C’è tutto quanto occorre per una petizione, ma in realtà si tratta di un’opera d’arte. L’ultimo lavoro di Pino Boresta - artista che per primo, oltre dieci anni fa, portò a Roma la sticker-art con le sue «Smorfie», opere adesive che lo ritraevano in più espressioni differenti - è una vera e propria raccolta di firme in favore della sua partecipazione alla Biennale di Venezia. «Firma Boresta», questo il titolo, è un ironico work in progress, iniziato in questi giorni, che si concluderà nel 2009 in tempo per la Biennale. Presentato in sole tre occasioni, con tanto di banchetti, ha già raccolto circa 400 firme. Con la tecnica pop-metropolitana per cui è noto, Boresta si propone ancora una volta nella duplice veste di artista e opera, «mettendoci - come ama dire - la faccia».


Ma questa volta non sarà solo. Al grido di «Basta con i raccomandati», il volantino con cui viene pubblicizzata l’iniziativa recita: «Con una firma e, se vuoi, con una foto entrerai a far parte di un’opera d’arte». Accanto al viso dell’artista, infatti, compariranno quelli di persone comuni. «L’opera finale - spiega Boresta - sarà costituita dall’intera documentazione del progetto. Dalle firme raccolte alle foto scattate, senza dimenticare i video girati nei diversi momenti della realizzazione e tutto quanto possa testimoniare il percorso fatto. Non ultimo la consegna formale delle firme al direttore della prossima Biennale». D’altronde, la ricerca di nuove forme di interazione con gli spettatori è la cifra stilistica di Boresta, che ha sempre cercato di coinvolgere il pubblico. Per farlo, l’artista tenta di scardinare le tradizionali e più diffuse tecniche di comunicazione, proponendo gli individui che dovrebbero esserne fruitori in qualità di prodotti, «non per disordinare qualcosa che è già tropo disordinato - assicura - ma per chiarire un po’ le idee».


Attraverso la testimonianza - firmata e fotografica - del consenso della gente, l’opera illustrerà l’«immeritocrazia» dilagante, documentando il disagio di chi non vede premiato il proprio talento. «Banchetti per la raccolta firme - conclude - saranno presenti nei più importanti eventi capitolini di arte contemporanea. Si potrà partecipare pure via Internet, inviando una mail al mio blog (http://pinoboresta.blogspot.com)



Valeria Arnaldi

Pubblicato su “il Giornale” sabato 22 marzo 2008



In foto:
- Manifesti pro petizione.
- Distribuzione volantini del progetto FB “FIRMA BORESTA”.

- Raccolta firme per la petizione “FIRMA BORESTA”.



Qui di seguito foto dell’artista Georges Adéagbo e la sua installazione alla
53° Biennale di Venezia dove è visibile un vero intervento clandestino; il mio volantino FB.
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Qui di seguito foto di un finto intervento clandestino di André Cadere alla 53° Biennale di Venezia.



2008 Carla Ferraris


Antidemocrarte

























Chi è dunque l’artista? Barbara risponde con una metafora di stampo duchampiano:
“Un viandante che mette in discussione l’arte, spingendola fino a confini sempre più distanti”.
E la disquisizione si approfondisce ed accende nel momento in cui Pino Boresta esprime la propria posizione in merito, tramite, una relazione performativa del proprio concetto d’identità artistica, salendo su una sedia ed urlando “Voglio una Biennale, voglio fare una Biennale”; per Boresta l’arte è privilegio antidemocratico, nicchia insormontabile per pochi eletti, jet-set snobistico per critici, curatori e galleristi detentori del sistema artistico contemporaneo.
E la performance si conclude con una petizione/provocazione per la candidatura di Pino Boresta alla prossima Biennale di Venezia, con conseguente raccolta di firme tra i presenti in sala.


Carla Ferraris

Pubblicato on line su teknemedia il 3 giugno 2008.



In foto:
- Io abbarbicato su una scala dell’Arsenale durate il vernissage della 52° Biennale di Venezia urlando “Voglio anche io una Biennaleeeeee!”. Foto pubblicata anche su Exibart.onpaper 42 (Grandtour) agosto/settembre 2007.

- Io in primo piano

- Un banchetto per la raccolta firme a favore della petizione per essere invitato alla 53° Biennale di Venezia poi inviata Daniel Birnbaum. Hanno firmato in 997.

2008 Fulvio Abbate


Un vero artista






Ho finalmente visto in faccia l’artista, il tipo che da più di dieci anni incolla la propria faccia smorfia un po’ dovunque, ovviamente in forma sticker, per le vie di Roma. La sticker art, dall’inglese sticker, adesivo, serve appunto a piazzare un proprio messaggio fra cartelli stradali, cessi pubblici o su ogni altro genere di superficie esposta allo sguardo dei passanti, più o meno interessati o più o meno distratti.


Lui si chiama Pino Boresta, e chi volesse saperne di più circa il suo lavoro può correre a visitarne il sito ufficiale www.pinoboresta.com, dove, fra molto altro, visto che siamo a ridosso dell’evento, il Boresta prova a lanciare un’iniziativa benefica a proprio favore e vantaggio, ovviamente, sotto un convincente motto: “Basta con i soliti raccomandati”.


Boresta chiede insomma di firmare “per portare l’artista Pino Boresta alla Biennale di Venezia 2009, e ci sarai anche tu!” Invito ufficiale o non ufficiale, noi sappiamo già che Boresta, con quella sua faccia che sembra lanciare un urlo democratico ci sarà comunque, tuttavia sottoscrivendo l’appello, ci associamo al suo sogno, se non altro perché il suo sticker-sigla ci sollecita da molto tempo, e se uno riesce a trasformare la propria faccia riprodotta su un pezzo di carta in un simbolo quasi onnipresente, se è così, è bene che gli sia aperta la strada per ogni successo. Pino Boresta, un vero artista.


Fulvio Abbate














Pubblicato su “L’Unità” domenica 22 giugno 2008

In foto:

- Intervento clandestino CUS alla 53° Biennale di Venezia nello spazio Thetis Arsenale novissimo.

- Io in azione durante l’intervento.

- Raccolta firme per la petizione “FIRMA BORESTA”.

- Fulvio Abbate.

Video
http://www.youtube.com/watch?v=X4-F_iOJW5g

2008 Chiara Li Volti


Aproblematica convivenza



























Quanti sinora si sono soffermati sulla pervasività del consumismo che germina negli interstizi della quotidianità urbana sono stati i filosofi, apocalittici padri di una successiva generazione di sociologi integrati che, grattando la ruggine neo-marxista, hanno saputo intravedere un'ampia schiera di quei consumatori meno inclini ad un’aproblematica convivenza. Billboard Banditry, culture jamming, textual poachers sono quei cecchini semiotici che irridono l'ideologia della forma testo, per sabotarne il messaggio. Quando si parla di signflation è per lamentare la proliferazione segnica che invade la comunicazione: che svuota la dimensione simbolica e concentra in ogni significante tutto il significato possibile.













Pino Boresta è ancora un Situazionista alla maniera di Guy Debord, il suo détournement è un'appropriazione che mette in atto una deriva di significati, ma ciò che Debord mal sopportava e che lo fece volgere per lo scioglimento del movimento quarant'anni fa, Boresta lo aggira trasgredendo compiutamente ogni ipotetico asservimento ideologico. Oggi indubbiamente siamo in un tempo altro, sarebbe inopportuno pensare che accettiamo tutto così come ci viene offerto, ed esistono mirabili esempi di come l'arte possa salvaguardarsi dal consumo e stringere la mano a questo, eppure è nello spazio urbano che tutto ciò fatica ad accadere. Se nel privato ci siamo scrollati di dosso l'immagine bruta di un passivo Couch Potato - consumatore dipendente - nello spazio pubblico si tarda a riconoscere la legittimità del possesso che pure abbiamo, al pari di chi nella culla del potere ne abusa.


























Alla surcodifica della cartellonistica Boresta impone allora il proprio logo, la sua smorfia, suo personalissimo brand, su manifesti politici, segnali stradali, centraline elettriche e così via. Insinuare il dubbio nella normale rappresentazione invita a fare epoché, valutare quanto possa essere decostruito. Il Beowulf di Boresta è altrimenti un eroe epico già ampliamente ri-mediato, in ultimo da Robert Zemeckis nel 2007. La locandina cinematografica è il glamour della potenza fisica del guerriero vichingo che alletta e seduce il passante. Boresta sottrae la sagoma in cartonato, la "rettifica" con il proprio logo e si appropria del sottotitolo "Affronta i tuoi demoni", concedendo nel possessivo differenti stimoli attivi. La smorfia è la disarticolazione facciale come della lusinga dell'oggetto originale.












No-Logo C.U.S. è testimonianza di quel bracconaggio produttivo che tanto entusiasmava De Certeau, Firma Boresta è la beffa della politica e la celebrazione dell'indipendenza identitaria e lo spazio pubblico dunque il suo ambiente naturale.


Chiara Li Volti


Pubblicato sul catalogo “SM° Scala Mercalli - Il terremoto creativo della Street Art Italiana” edizioni Drago.



In foto:

- Pino Boresta in azione durante la 53° Biennale di Venezia.

- Intervento clandestino CUS in laguna durante la 53° Biennale di Venezia.

- Locandina cinematografica di Beowulf rettificata.
- Michel De Certeau e Robert Zemeckis.

2009 Daniele Capra


Pino contro i mulini a vento

Sventurata la terra che ha bisogni di eroi.

B.Brecht, Vita di Galileo

























Fantastica e coraggiosamente testarda l’operazione di Pino Boresta di chiedere di essere preso in considerazione per la madre di tutte le biennali, quella veneziana. A cavallo tra situazionismo, performance, happening, baraccata circense e operazione concettuale. Non proprio una spina nel fianco, ma un insistito solletico alla critica che - talvolta con la puzza sotto il naso - celebra, nella selezione degli artisti da invitare, il rito di affermazione delle proprie ambizioni intellettuali, se non, meno dignitosamente, quelle individuali. E di fatti, nonostante i tanti artisti che affollano la città lagunare (ma capita anche per Documenta o altre manifestazioni), siamo soliti ricordare la Biennale in base al curatore. Quella di Szeemann, di Bonito Oliva o di Bonami. E così faremo per quella di Birnbaum, o per le mostre dei commissari dell’italico Padiglione. Gli artisti, probabilmente soccomberanno alla critica.



Pare opportuno, inoltre, valutare se una presenza alla Biennale può incidere nella carriera di un artista. Ovviamente talvolta sì, talvolta no: cioè non sempre. Il che ci induce a dire che - forse - non è nemmeno così importante fare parte di quel carrozzone se poi non si mette in moto un circolo virtuoso. A contare è quindi, oltre alla qualità intrinseca del proprio lavoro, la capacità di saper approfittare dell’opportunità per mirare ad una critica ed un collezionismo internazionale, a un mercato ai vertici, piuttosto che alla farfallina veneziana nella propria collezione di mostre da sfoggiare. D’altro canto è facile, avere in mente degli artisti che hanno fatto successo che sono stati in biennale, ma dovremmo pure considerare le decine di schiappe che giacciono irrimediabilmente nel dimenticatoio!
























Diciamocelo, sembra una lotta contro i mulini a vento quella di Pino alla Biennale. Ma allora perché proporsi ed insistere, quasi eroicamente, con la propria candidatura, raccogliere firme, fare pubblicità, scrivere lettere, come da molto sta facendo con spirito battagliero? Essenzialmente per idealismo, per spirito gonadoclasta, per il piacere di rompere le palle, con finta ingenuità. Per discutere, divertirsi, incazzarsi. Per confrontarsi e possibilmente mettersi a soqquadro. Anche solo for art’s sake.


Daniele Capra


Testo scritto in occasione dell’incontro "Why not me to the Venice Biennial? ", tenutosi ad “ArtO’ International Art Fair” Palazzo dei Congressi, Roma il 3 aprile 2009.


In foto:
- Opera istallazione dal titolo “Pino Boresta contro i mulini a vento” i critici in foto sono Achille Bonito Oliva, Harald Szeemann, Francesco Bonami, Daniel Birnbaum.
- Doppia ritratto di Bertolt Brecht.
- Opera “Fuggendo dalla critica” di Pere Borrell Del Caso rivisitata.