giovedì 26 marzo 2015

“Artisti out/in-visibili” di Pino Boresta


Art Driver















Ma dici a me? Ma dici a me?... Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui”. Questa la citazione fin troppo famosa, che potrebbe venire in mente a qualche artista outsider o insider che abbia letto le dichiarazioni di Cesare Pietroiusti rilasciate in un’intervista a Maria Rosa Sossai dove sostiene di rifiutarsi di credere che la cultura italiana in questo momento storico non possa avere individuato proposte artistiche forti, e pertanto o queste si trovano nascoste in artisti marginali, nei cosi detti invisibili fuori da ogni giro, oppure gli artisti “visibili” non trovano i canali giusti per far emergere questi contenuti. Ma io non credo, come suggerisce Cesare, che tale stato di cose sia determinato in maniera prevalente da meccanismi di auto-censura, ma credo piuttosto che sia colpa di una pigrizia generale del sistema artistico italiano, dove predominano le solite invidie e giochi di potere. 




Sono d’accordo con Cesare quando sostiene che il più delle volte le proposte migliori sono quelle scomode, quelle che spesso in un primo momento possono sembrare sbagliate, in quanto richiedono un impegno di ristrutturazione delle modalità di pensiero che mettono in discussione l'ordine del rapporto tra le cose, come per esempio fra mezzi e fini poiché è solo in questo modo che le relazioni fra lavoro, guadagno, successo ecc. possono essere interpretate con logiche diverse. Concordo con Cesare anche quando afferma che le proposte più forti sono spesso quelle che nascono dalla dimensione del disagio perché è questa la prima fonte di conoscenza sulla base della quale, insieme al dolore, noi impariamo le cose. Per cui, in conclusione direi che non bisogna negare il disagio né si deve aver paura di mostrarlo, ma bisogna viverlo fino in fondo e utilizzarlo come forma di azione per la costruzione dei propri progetti e opere d'arte come hanno fatto molti artisti in passato e come fanno alcuni tutt’ora. Ma come ha detto qualcuno di cui non ricordo il nome: “Non è sufficiente accettare la propria sofferenza bisogna esserne entusiasti se si vuole trasformarla in energia positiva”.











Pubblicato su; ("Juliet" n. 171 February – March 2015)

In foto:
Rielaborazione digitale di frame del film “Taxi Driver” (una mia opera).
Ritratto digitale di Cesare Pietroiusti (una mia opera della serie AQPAC).
Maria Rosa Sossai allo studio di Cesare Pietroiusti.

“Cercasi eroi” di Pino Boresta


Indovina chi è

















Ha seguito un corso di cosmetologia a Londra e Parigi per imparare la composizione dei prodotti. Nel 1972 si è venduto due appartamenti per comprare altrettante opere di Gino De Dominicis. Altri artisti che sono stati importanti per lui sono Emilio Prini e Jannis Kounellis. Sostiene che la differenza sostanziale esistente tra mercante e gallerista consista nel fatto che il mercante vende un po’ di tutto, mentre il gallerista propone situazioni, e per questo è un ruolo più difficile. A un certo punto degli Anni Ottanta era uno dei galleristi più importanti di Roma, ma il repentino cambiamento di contesto che ha portato alla ribalta l'onda della Transavanguardia, ha cambiato lo scenario a cui apparteneva rovinandogli la piazza. Ha conosciuto Andy Warhol nel 1984 e ha trovato il modo di ospitarlo a casa sua prima di accompagnarlo in Grecia in auto passando per Trieste e dopo essere andati a visitare i dipinti di Lorenzo Lotto a Loreto, ai quali Warhol era molto interessato.




















Ha detto di essere terribilmente incuriosito dalle nuove generazioni di artisti perché rappresentano il costume sociale di un’epoca, ma sostiene di non riuscire sempre a capire quello che fanno. Affermazione quantomeno stravagante, se si considera che viene da colui che con intelligenza e coraggio ha comprato in tempi non sospetti opere come “Mozzarella in Carrozza” e “Il tempo, lo sbaglio e lo spazio” di Gino De Dominicis, ma probabilmente ogni tempo ha i suoi eroi e non si può essere eroi per tutta la vita. 



















A questo punto avrete sicuramente capito di chi stiamo parlando, del grande Pio Monti che in questa lunga intervista rilasciata a Valentina Tanni afferma di credere molto nei giovani artisti, ma si rammarica del fatto che il mercato sia poco reattivo nei loro confronti, in quanto la gente preferisce fare acquisti sicuri piuttosto che rischiare su emergenti e outsider.
















L'intervista termina con Pio Monti che confessa di essere molto rattristato che, nonostante le molte cose fatte, oggi non sia apprezzato e considerato come sarebbe giusto e dichiara polemicamente che oggi giorno solo chi ha i soldi diventa intelligente e rispettato. Caro Pio, per vincere bisogna essere disposti a perdere, e tu secondo me hai sicuramente vinto e il resto sono solo dettagli, dettagli che fanno incazzare lo so bene, ma sempre dettagli rimarranno.












Pubblicato su; ("Juliet" n. 170 December 2014 – January 2015)

In foto:
Ritratti digitali di Emilio Prini, Jannis Kounellis e Gino De Dominicis, (opere della serie AQPAC).
Ritratto digitale di Andy Warhol (una mia opera della serie AQPAC).
Foto delle due opere di Gino De Dominicis “Mozzarella in Carozza” e “Il tempo, lo sbaglio e lo spazio”.
Ritratto digitale di Pio Monti (una mia opera della serie AQPAC).
Ritratto digitale di Valentina Tanni (una mia opera della serie AQPAC).

"Arte + Bellezza = Felicità?" di Pino Boresta


A colpi di fioretto

















La dittatura del critico e del curatore è un'illusione paranoide inventata da sedicenti artisti per alleviare le loro delusioni”. Con questa staffilata Sergio Lombardo risponde a Luca Rossi che in una intervista gli propina uno dei suoi pallini fissi. Quando poi L.R. torna alla carica chiedendogli perché una ricerca interessante come la sua non abbia avuto la visibilità che merita e di cui invece godono molti artisti degli anni Sessanta e Settanta Lombardo risponde senza mezzi termini che un artista Eventualista (quale lui è) si preoccupa soprattutto, con il suo lavoro paragonabile a quello di uno scienziato, di scoprire nuovi ideali che ricerchino la bellezza senza curarsi di tutto il resto, e questo probabilmente è incompatibile con la mondanità e può condurre a un apparente isolamento sociale. 



















Ma Luca, non demorde e allunga una stoccata chiedendo a Sergio cos'è la bellezza nell'arte?: “La bellezza è un effetto psicologico determinato dall'intuizione, spesso inconscia, ai fini di migliorare la nostra vita rendendoci più felici”, questa la pronta e sagace risposta di Lombardo in questo avvincente duello travestito da intervista tratto da Artribune e da me liberamente ricostruito. Luca para e tenta un nuovo affondo domandando a Sergio per quale motivo allora molti giovani artisti e giovani curatori ritengono ultimamente che la bellezza risieda nel recupero di codici artistici formali e citazioni del passato. Sergio schiva e risponde che il fascino del passato é fortissimo ma gli artisti vivono in un mondo che gli altri conosceranno e apprezzeranno solo dopo decenni o forse secoli in quanto esplorano mondi possibili che si trovano nel futuro. “Chi decide che un artista debba essere considerato tale o che un opera debba essere ritenuta di valore o no?”. 
















Con questa domanda Rossi cerca l'assalto finale ma con un guizzo Lombardo para e replica affermando che un artista può essere definito tale solo se i suoi seguaci tanti o pochi che siano lo amano spontaneamente e non perché costretti a fingere da un abile lavoro di pubbliche relazioni. Io non solo sono d’accordo con Sergio su tutto ma non ho neanche dubbi su chi abbia vinto questo duello all’ultimo sangue, ma lascio a voi il verdetto finale.

























Pubblicato su; ("Juliet" n. 169 October 2014 – November 2014)


In foto:
- Un incontro di fioretto (una mia opera).
- Foto di gruppo di un incontro Eventualista tenutosi a Campobasso nel 2014 (da sinistra Tommaso Evangelista, Vincenzo Merola, Sergio Lombardo, Miriam Mirolla, Dionigi Mattia Gagliardi, Gianna Muller, Luigi Pagliarini, Claudio Greco).
- Un opera di Luca Rossi.
- Ritratto digitale di Sergio Lombardo (una mia opera della serie AQPAC).


“Migliorare vale la pena?” di Pino Boresta


 Il mio pazzo mondo













Qualcuno ha scritto che esiste un’influenza negativa, quasi malefica, che le persone stupide possono avere su quelle più intelligenti. Pertanto da più parti viene caldamente consigliato di non sottovalutare il pericolo che la frequentazione e vicinanza di uno stolto può rappresentare. Ho riflettuto sulla questione cercando di capire a quale delle due categorie io appartenessi, ma in tutta sincerità devo confessare che non ho ancora risolto la questione. Credo in ogni caso che un artista nel corso della sua vita, più che dagli ottusi, debba tenersi alla larga dai tanti infingardi, imbroglioni e lestofanti che infestano il mondo dell’arte, anche se la cosa non è facile e in alcuni casi appare quasi impossibile. È possibile però imparare come evitare stupidaggini e passi falsi. Infatti, le più recenti ricerche scientifiche sul cervello hanno scoperto che il nostro sistema di neuroni non è fisso e immutabile come si pensava. 











I ricercatori hanno dimostrato che, grazie alla dotazione di cellule staminali di cui il nostro cervello è dotato, con il passare del tempo non aumentano solo le sinapsi ma abbiamo anche l’opportunità di rigenerare il nostro encefalo diventando più intelligenti. Bisogna però fare attenzione dato che potremmo anche peggiorare le nostre capacità se la mente non venisse intellettualmente nutrita adeguatamente. Pertanto io credo che uno dei compiti dell’arte dovrebbe essere quello di avere la presunzione di pensare che proprio grazie a lei sia possibile non dico diventare tutti più intelligenti, ma un po’ meno stupidi forse si. Perché una complessa e sfaccettata capacità di analisi critica in ogni direzione è utile ed aiuta a costruirsi parametri esistenziali capaci di superare le difficoltà e le prove della vita con comportamenti non autodistruttivi ed autolesionisti. 

















Ma anche tutto questo non ci mette al sicuro da possibili difficili situazioni che la vita potrebbe portarci ad incontrare, per cui potrebbe avere ragione Charles Bukowski quando dice: «Non cerco mai di migliorarmi o di imparare qualcosa, rimango esattamente come sono. Non sono uno che impara, sono uno che evita. Non ho voglia di imparare, mi sento perfettamente normale nel mio mondo pazzo; non voglio diventare come gli altri».


























Pubblicato su; "Juliet" n. 167 April – May 2014

In foto:
Radiografie di sinapsi e neuroni.
Un vero cervello umano, e un immagine al computer riguardante lo studio della attività celebrali.
Una mia fotocomposizione del ritratto di Charles Bukowski.
Due citazioni da Artribune di Michel Gondry e Louise Bourgeois.

“L’artista superfluo/xus” di Pino Boresta



Alla ricerca dell’arte perduta





Ero dispiaciuto per non essere riuscito a visitare Documenta 13, ma poi sono stato alla conferenza della curatrice Carolyn Christov-Bakargiev all’Accademia di San Luca di Roma, e lì ho capito che andando a Kassel non avrei mai compreso a pieno il significato e il valore di molte di quelle opere da lei spiegate magistralmente. Ho realizzato che avrei corso il rischio di non riuscire a vedere molte delle opere più interessanti perché nascoste, come la piramide in cemento costruita all’interno delle fondamenta del Fridericianum Museum, o perché mimetizzate nel paesaggio, come la collinetta verde di fronte allo stesso museo, oppure perché troppo lontane, come quelle ad Alessandria d’Egitto, il Cairo o Banff, o ancora peggio perché distrutte dai talebani come i famosi Budda di Bamiyan o che si credevano demolite, come l’One Hotel di Alighiero Boetti a Kabul. 



Tutto questo lo trovo curioso e affascinante, ma non mi dispiace l’idea di aver evitato di ritrovarmi all’interno di una sorta di caccia al tesoro dove il premio consisteva nel raggiungere, scoprire e in fine comprendere il significato di un’opera, ma forse Carolyn voleva proprio questo. Diverse erano le opere fatte di compostaggio, sotto forma di lingotti, di montagnole, di discariche, mentre altre erano votate al fallimento (tema a me caro), come quel progetto nel quale si voleva fare accettare all’UNESCO l’atmosfera come patrimonio intoccabile dell’umanità. 

















Vi era anche un’opera pensata per spettatori non umani: una sorta di giardino rialzato fruibile solo da farfalle e insetti (anche privi di pass?). La curatrice ha rivelato inoltre che l’importanza rivestita da certe opere della sua Documenta è dovuta soprattutto dai viaggi da lei fatti con gli artisti, in quanto una volta esisteva solo l’opera e basta, che poteva essere valutata solo da chi vi si trovava davanti mentre oggi è l’intero sistema che è stato ripensato. Io sono d’accordo, tanto a me (le mostre) non me le fanno fare. Ma allora sarà pure presuntuoso pensare di poter portare in un sol posto tutte le novità dell’arte contemporanea che sorgono nelle varie parti del globo, ma se le cose stanno così cosa si può fare per non correre il rischio che l’artista e la sua opera diventino superflui?





















Pubblicato su; "Juliet" n. 166 February – March 2014

In foto:
Foto della curatrice durante uno dei momenti dell’inaugurazione
Foto dei Budda Bamiyan distrutti e dell’One Hotel di Alighiero Boetti a Kabul.
Foto del Fridericianum Museum con alcune opere composte da compostaggio esposte a Documenta 13.
Opera di fotocomposizione del ritratto di Carolyn Christov-Bakargiev.

“Io so che tu sai che io so” di Pino Boresta





Chi è il nemico?


Ho letto che oggi come oggi per raggiungere qualche obbiettivo più che un bravo artista devi essere uno scaltro incantatore di serpenti, in effetti più passa il tempo e più mi rendo conto che è così. Sicuramente una certa capacità e destrezza nelle pubbliche relazioni è necessaria, se non indispensabile, ma non dovrebbe essere questo a determinare la scelta di un artista. È vero che esistono artisti che hanno più nemici che capelli in testa, ma il detto “Tanti nemici tanto successo” non è in realtà vero per tutti. 















I strateghi del sistema dell’arte consigliano invece di essere molto diplomatici e mantenere sempre buoni rapporti con tutti specialmente se non si è sufficientemente famosi o potenti per potersi permettere dei nemici. Sembra che così facendo si possa con buona probabilità elemosinare qualche particina di secondo piano in qualche evento di quelli che contano, ma a quale prezzo? Il mondo dell’arte è tutto un “ Io so che tu sai che io so che tu sai, ma non te lo dico e faccio finta di niente”. Sono molti quelli che comportandosi in siffatto modo pensano di acquisire una posizione di vantaggio nei confronti dell’interlocutore di turno. A me invece piace parlare e raccontare, e di questo ne pago le spese con gli interessi. 







































Me lo ha detto anche Angela Vettese “…che ti aspetti? Tu combatti il sistema e il sistema ti rifiuta.” Ma allora se questa è la regola tutti coloro che hanno criticato e combattuto il sistema e poi sono stati inglobati sono dei fasulli o frutto di operazioni studiate a tavolino? Io una mia idea me la sono fatta ma la renderò nota solo al momento giusto, anche perché credo che il nostro peggior nemico sia in realtà dentro di noi (artisti) e non sia il critico di turno, anche se Vitaldo Conte sostiene che i critici italiani sono poco attenti e ignorino volutamente quello che di interessante succede intorno a loro in quanto appartengono a un sistema asservito al vincitore di turno qualunque esso sia, e il più delle volte sono succubi di voleri finanziari e scelte alla moda, firmando mostre selezionate e decise da musei, gallerie, mercanti o collezionisti. Chi avrà ragione?








Pubblicato su; "Juliet" n. 164 October - November 2013


In foto:
Contestazione studentesca, Incatatori di serpenti.
Opera di fotocomposizione del ritratto di Angela Vettese.
Foto composizione ritratto di Vitaldo Conte con due sue opere.
Due libri di Angela Vettese.


“Le ambiguità che mordono” di Pino Boresta


I’m real artist


















Quando Keith Arnatt, noto artista degli anni ‘60 ’70, avvertì tutto il disagio di essere un artista non gli rimase altra possibilità se non quella di tornare alla sua prima e più grande passione? Parliamo della fotografia che molti dell’epoca consideravano un passo indietro rispetto all’arte concettuale, mentre le sue foto erano in realtà un passo in avanti. Keith Arnatt quando prese questa decisione aveva già esposto in molte delle sedi più prestigiose al mondo come la Tate Modern e il MoMA di New York, ed ecco come rispose in una intervista qualche tempo dopo il suo cambio di direzione: “Era difficile essere un artista in quel dato momento. Il vocabolario formale sembrava essere esaurito”. Fare una scelta del genere quando ancora la fotografia veniva considerata un arte minore è stata sicuramente una scelta coraggiosa, anche per lui che aveva capito l’importanza che rivestiva la fotografia come produzione e non come riproduzione, ma lui avrebbe fatto la stessa scelta anche se nessuno lo avesse mai compreso perché si sentiva fotografo e amava fare quello. Da qui il titolo, non polemico, a mio avviso, del suo libro “Sono un vero fotografo”. 


La bravura di Arnatt consiste nella capacità di mettere in discussione continuamente il mondo che lo circonda, riuscendo a dare nuovi significati a ciò che compare nelle sue foto svestendo la forma apparente a favore di contenuti che vanno ben oltre la semplice immagine. Ovunque lui fosse non dimenticava mai la sua missione, così, durante le sue passeggiate, nascono alcune delle sequenze fotografiche più famose, come quella dove cattura immagini di spazzatura o di escrementi di cane. Si tratta di opere seriali da cui sbocceranno altrettanti libri. Libri nei quali è possibile assaporare la leggerezza del suo umorismo ma anche le ambiguità sottili della vita che si insinuano dentro di noi e mordono. Arnatt è morto nel 2008, qualcuno sostiene senza il rispetto che meritava ma è stato sicuramente un vero artista non perché lo ha detto lui in una sua opera (quella dove indossa un cartello nel quale c’è scritto “I’m real artist”) ma perché in verità ci teneva molto meno di tanti altri ad essere cosi definito.































Serie Fotografica “Cani con padrone”









































Serie Fotografica “Rifiuti”




























Serie Fotografica “Rifiuti commestibili”
























Serie Fotografica “Post it”




Pubblicato su; “Juliet” n. 165 December 2013 – January 2014
In foto:
Performance di Keith Arnatt.
Una mia foto composizione del ritratto di Keith Arnatt.
Opera fotocomposizione della performance di Keith Arnatt.
Fotomposizioni di alcune serie fotografiche di Keith Arnatt.